PIU' ZOFF CHE ALBERTOSI

Cudicini, de portieribus

Cudicini, de portieribus - immagine 1
Il 2 dicembre era toccato a Helmut Duckadam. «Quello» dei quattro rigori (parati) su quattro. Portiere fu anche Ernesto Che Guevara. Un ruolo estremo, a suo modo estremista: con l’errore si deve convivere, all’errore si deve sopravvivere.

analisi Facebook di Roberto Beccantini -

La morte di Fabio Cudicini, a 89 anni, mi offre il pretesto per parlare di portieri. Non con la classe di un Vladimiro Caminiti, che in porta giocò sul serio e un giorno, ai tempi di "Tuttosport", mi mostrò, orgoglioso, un paio di ginocchiere ferite ma non meno fiere; e nemmeno con la vena poetica di un Umberto Saba.

Per la sua epoca, Fabio era un watusso: 1,91

Sobrio di gesti, e di rinvio lesto, dai tuffi esclusivamente aziendali e non fotografici. Di scuola più vicina all’asciuttezza inglese di Dino Zoff che non alle acrobazie sambiste di Ricky Albertosi. I grandi rivali che gli negarono la gioia di quello che big Rino avrebbe chiamato "nastro azzurro".

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I portieri del Novecento

I piedi, allora, erano necessari: oggi sono obbligatori. Cudicini arrivò al Milan che aveva 32 anni, una sorta di José Altafini ante-litteram, ma subito e sempre titolare, con Nereo Rocco in panca. Ci si ricorda, di Fabio, la notte di Old Trafford, Manchester United-Milan, la partita che ne legò la carriera all’onore di un leggendario nick-name: "ragno nero".

Perché sì, i portieri erano neri - di maglia, intendo - con Lev Jascin, l’unico Pallone d’oro della categoria, a decorare la narrazione. Il portiere era un uomo solo al comando di altri. Oggi, spesso, comanda lui. Un "outsider", come ha scritto Jonathan Wilson. Non più. Non di rado, è colui che tocca più palloni. La costruzione dal basso ne ha allargato il repertorio. Il "potere" agli attaccanti ne ha inoltre intaccato la sacralità fisica: da Silvano Martina versus Giancarlo Antognoni a Petr Cech versus Stephen Hunt.

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