Per un milanista come lui, vedere il suo club in difficoltà è una sofferenza. Domenica sera Marco Van Basten è entrato nella Hall of Fame rossonera e, pur lusingato, non può sorridere per il momento che la squadra sta attraversandon Basten
Marco segue il Diavolo ancora con affetto. Van Basten, cosa vuol dire per lei essere stato inserito nella Hall of Fame rossonera? "È un onore. Con il tempo arriveranno anche Maldini, Tassotti, Donadoni, Rijkaard e tutti gli altri miei ex compagni". Quanto è forte il suo legame con il Milan? "Se hai giocato qui a Milano, con la maglia del Milan, è difficile non sentire il feeling con la città, con lo stadio, con i tifosi e con la storia di questo grande club. Per me i colori rossoneri, il pubblico e la società resteranno sempre qualcosa di speciale. Anche se vivo in Olanda, quando gioca la prima cosa che controllo è il risultato del Milan", racconta il Cigno alla Gazzetta dello Sport
Se dovesse spiegare ai giovani il dna europeo del suo Milan, cosa direbbe?
"Era l'unità di una società che aveva al comando due dirigenti esperti e del calibro di Berlusconi e Galliani. Berlusconi aveva una visione e l'ha portata avanti scegliendo bene allenatori e giocatori. Negli anni abbiamo avuto una squadra super: con Tassotti, Baresi, Costacurta, Maldini e Filippo Galli avevamo la difesa migliore d'Europa. A centrocampo con Ancelotti c'erano Donadoni, Rijkaard, Colombo, Evani e Albertini; in attacco io, Gullit, Virdis, Massaro ecc. La mentalità era quella di vincere sempre, a tutti i costi. Anche se ci trovavamo sotto a pochi minuti dalla fine. Il tecnico è importante, ma se hai un nucleo di campioni è tutto più facile".
Cosa serve al Milan per tornare a vincere come ai suoi tempi? "Il Milan è un grande club, ha uno stadio fantastico e una tifoseria super. Purtroppo negli ultimi anni l'Inter ha "comandato" e per i milanisti è stato un colpo al cuore. Tempi difficili... Sono convinto che il Milan tornerà a vincere. Magari potrebbe aiutare avere più italiani. Avete dei giocatori bravi che però le vostre squadre utilizzano poco e la Nazionale ne risente. In Spagna, per esempio, valorizzano di più i talenti". Le piace la nuova idea di calcio che Fonseca sta cercando di trasmettere al gruppo? "Non ha i grandissimi giocatori che c'erano ai miei tempi e così non è facile fare sempre risultato. E l'allenatore è cambiato dopo qualche anno: bisogna dare tempo a Fonseca di lavorare e avere pazienza".
Ha conosciuto Ibrahimovic quando eravate all'Ajax. Ha qualche aneddoto da raccontarci? "Io facevo il tecnico del vivaio, lui era giovane ma già in prima squadra. Ci siamo incrociati sul campo di allenamento e mi ha chiesto di fargli vedere cosa sapevo fare con il pallone, ma con quella caviglia non potevo più né correre né calciare. Non pensavo che sarebbe diventato dirigente, ma ha vissuto tanto tempo nel calcio e ha parecchia esperienza. Le società hanno bisogno di persone che hanno giocato, che sanno cosa vuol dire essere un calciatore. Zlatan ha girato il mondo, è stato in tanti club, ha sempre mostrato una mentalità vincente e la trasmetterà. Può essere un grande aiuto per portare il Milan di nuovo al top. In campo intanto a stupire è il suo connazionale Reijnders. Si aspettava che potesse diventare così decisivo? "La sua esplosione per me è stata un po' inaspettata perché all'Az era abbastanza bravo, ma... senza esagerare. A Milano è arrivato a 25 anni, quindi già formato, e non credevo che potesse diventare così forte, fare così tanti progressi. In campo è divertente perché fa quello che pensa e trasmette gioia. Ogni tanto sbaglia, ma non ha paura e spesso gli riescono giocate incredibili". È già tra i migliori centrocampisti al mondo? "Sì, è tra i più grandi in circolazione".