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Nel vortice delle panchine che si liberano e si assegnano, anche il nome di Maurizio Sarri è tornato a circolare nei radar del Milan. Suggestione, contatto reale o semplice esercizio nostalgico? Poco importa. L’idea di vedere l’ex tecnico di Lazio, Juventus, Chelsea e Napoli seduto sulla panchina del Diavolo è, oggi più che mai, una forzatura.
Sarri è stato uno dei simboli del bel gioco italiano, e su questo non ci piove. Ma il tempo del "Sarrismo" come proposta tattica d’élite sembra finito. E per il Milan, oggi, serve molto di più di un’ideologia calcistica: serve visione, pragmatismo e carisma internazionale.
Il Milan ha bisogno di adattabilità, verticalità e aggressività. Il gioco di Sarri, pur raffinato, è diventato un abito sartoriale che però calza stretto a quasi tutte le rose moderne. Troppi automatismi, poca flessibilità: non è un caso che il suo impatto negli ultimi anni sia stato in calando.
A Milano, la comunicazione è parte della leadership. Sarri, per indole, è schivo, polemico e spesso in rotta con l’ambiente societario. L’esperienza alla Juventus, vinta sì, ma senza sintonia interna, è un precedente che pesa. Il Milan, al contrario, ha bisogno di un tecnico che sappia anche fare da ponte tra dirigenza, squadra e tifoseria.
I rossoneri non possono più permettersi atteggiamenti tiepidi verso le coppe. La Champions è un obiettivo, non un impiccio. Ma Sarri, da sempre, ha vissuto le competizioni europee come una distrazione dal "vero calcio", quello della domenica. Un’impostazione inaccettabile per chi punta a tornare ai vertici continentali.
Maurizio Sarri è stato un innovatore. Ma oggi il Milan ha bisogno di un costruttore, non di un restauratore. Il no della società non è stato un rifiuto ideologico, ma una scelta coerente con il percorso intrapreso. Perché il tempo delle nostalgie, a San Siro, è finito.
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