Il Milan guida il fatturato italiano nel 2025, superando Juventus e Inter, ma resta distante dalle big europee tra investimenti e stabilità.
Secondo i dati Deloitte 2025, il Milan con 397,6 milioni guida la classifica dei club italiani per fatturato, superando Juventus e Inter, rispettivamente ferme a 391 milioni e 356 milioni. Un traguardo significativo, frutto della crescita sul piano commerciale, del ritorno in Champions League nelle ultime 4 stagioni e di un appeal globale in evidente ripresa.
Eppure, questa fotografia racconta solo metà della storia: i numeri in Italia fanno sorridere, ma se paragonati al resto d’Europa rivelano un gap strutturale difficile da colmare, nonostante una similitudie in relazione ai freddi numeri.
Milan davanti a tutti in Italia, dietro alle big d’Europa
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Mentre il Milan svetta in Serie A, i giganti d’Europa giocano un altro campionato. Real Madrid, Manchester City, Paris-Saint Germain, Barcellona, Bayern Monaco e Manchester United superano regolarmente cifre vicine o oltre il miliardo annuo. Un abisso che non dipende solo dai risultati sportivi, ma da un sistema industriale, infrastrutturale e mediatico profondamente diverso.
Il Milan resta così distante centinaia di milioni dai colossi continentali, con inevitabili ripercussioni sul potere d’acquisto e sulle ambizioni in sede di calciomercato.
I limiti del sistema italiano: stadi obsoleti e diritti TV stagnanti
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Il problema non riguarda solo il Milan, ma l’intero calcio italiano. Stadi obsoleti, diritti TV poco competitivi e difficoltà di internazionalizzazione dei brand restano freni pesanti. Nonostante i progressi, il gap con Premier League, Liga e Bundesliga è evidente e continua ad allargarsi stagione dopo stagione.
In questo scenario, primeggiare in Italia non significa essere realmente competitivi in Europa. Basti pensare all’Atletico Madrid: a quasi parità di fatturato con il Milan (409,5 milioni contro 397,6 milioni), i colchoneros dispongono di un potere d’acquisto nettamente superiore, così come di una stabilità economica più solida rispetto a qualunque club di Serie A.
Il confronto diventa ancora più impietoso se si guarda al Newcastle United (371,8 milioni). Nonostante un fatturato persino inferiore a quello dei rossoneri, gli inglesi possono contare su risorse quasi illimitate grazie anche alla proprietà del fondo sovrano PIF, oltrechè alla solidità garantita dalla Premier League.
Tralasciando questo caso limite, la comparazione più sensata resta quella con l’Atletico Madrid. Un esempio virtuoso di come la continuità sportiva e la modernità delle infrastrutture possano tradursi in un vantaggio economico concreto.
Il confronto con l'Atletico Madrid: fatturato simile, potere economico differente
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In un confronto a 360° tra Milan e Atletico Madrid non ci si può limitare alla sola voce del fatturato. Sarebbe un errore di prospettiva, capace di viziare qualsiasi analisi.
Le entrate dei colchoneros, infatti, godono di una stabilità superiore rispetto a quelle dei rossoneri. Il merito è di una continuità sportiva ben più costante negli ultimi dieci anni, con dieci partecipazioni alla Champions League contro le quattro del Milan.
A ciò si aggiunge il vantaggio strutturale: l’Atletico Madrid può contare su uno stadio di proprietà, una fonte di ricavi aggiuntiva che si rafforza attraverso operazioni di naming rights. Si tratta di una strategia di marketing in cui un’azienda paga per associare il proprio nome a uno stadio o a una struttura sportiva. Il caso del Metropolitano, prima Wanda e oggi Riyadh Air, è emblematico di come la gestione moderna delle infrastrutture possa trasformarsi in flussi di cassa certi e costanti, veri indicatori di solidità economica.
Proprio queste entrate regolari, definite in economia flussi di cassa costanti, permettono ad un’azienda di mantenere equilibrio economico e misurano la sua solidità.
Come la Serie A affronta il gap economico: il player trading
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Queste differenze sostanziali costringono i club italiani, Milan compreso, a ricorrere ciclicamente al player trading. Una strategia necessaria per bilanciare i conti, ma che spesso finisce per indebolire la competitività sportiva, riducendo il valore della rosa nel medio-lungo periodo.
Pertanto finché le italiane dovranno vendere per restare a galla, l’Europa resterà un oceano difficile da attraversare.
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