Christian Pulisic non ha mai fatto troppo rumore. Non lancia provocazioni sui social, non fa drammi davanti alle telecamere, esce sempre dal campo con compostezza. A modo suo, tuttavia, ha sempre lasciato il segno. Silenzioso ma tagliente, appuntito come una freccia scagliata dagli irochesi, molto diffusi nella stato della Pennsylvania, la terra che ha dato i natali a Pulisic. Christian Pulisic parla solo con la palla tra i piedi e grazie al Milan ha finalmente ritrovato la voce dopo anni di silenzi.
Il capitano di un popolo
Christian Pulisic, molto più di Capitan America


Pulisic, il sogno euroamericano e il freddo
—Per capirlo davvero bisogna tornare indietro nel tempo e sorvolare l'Atlantico. Per comprendere l'essenza di Pulisic bisogna aver visto almeno un scorcio di Hershey, Pennsylvania. Città sì famosa per il cioccolato, ma da un po’ anche per aver dato i natali a un ragazzino con un sogno più europeo che americano, ma che muore ugualmente dalla voglia di farsi da sé. Cresciuto tra le colline della costa est e le VHS della Premier League, Pulisic ha sempre saputo dove voleva arrivare. E no, non era una squadra di MLS o una compagine diindoor soccer come papà Mark, otto anni da titolare dell'Harrisburg Heat.
La Carriera al Borussia Dortmund
—A 16 anni si presenta nel gelido di Dortmund con la faccia pulita e il tocco morbido. Il primo americano a non sembrare… americano. Del resto, un cognome così tradisce origini balcaniche: genio e discontinuità tutta jugoslava, o meglio, croata; nonno Mate è nato a Ulbo, un'isola dalmata. E lì, tra i gelben e le nebbie del Signal Iduna Park, inizia a scrivere la sua storia.
Il trasferimento al Chelsea
—Da lì al Chelsea il passo è breve, ma anche strano. Perché Londra lo accoglie, ma non lo adotta mai davvero, assecondando forse quella riluttanza istintiva tutta british nei confronti di chiunque provenga dagli States. Un infortunio, una panchina, una tripletta al Burnley. Il record storico di primo statunitense a segnare in una semifinale di Champions contro il Real Madrid. Poi, il delizioso assist a Havertz nella finalissima di Porto contro il Manchester City.
La vittoria della Champions League
—Pulisic diventa così il primo giocatore americano a disputare una finale di Champions League, il secondo a vincerla dopo Jovan Kirovski, oggi sport development director al Milan. Poi di nuovo infortunio, di nuovo panchina. Mette in bacheca uno strepitoso treble internazionale ma l'estenuante altalena, ormai simile ad un pendolo di schopenhaueriana memoria, lo spezza più dentro che fuori. Gli ultimi mesi di Pulisic in maglia blues vedono il Chelsea chiudere al dodicesimo posto. La rosa è extralarge e per Christian Pulisic gli spazzi si fanno sempre più intasati, le occasioni per lasciare il segno sono sempre meno frequenti.
La scelta del Milan, l'acquisto di Pulisic
—Poi, la calura dell’estate del 2023. Il telefono squilla. Il Milan ha bisogno di ristrutturare la rosa e rifare la convergenza alle fasce d'attacco. Furlani e Moncada cercano facce nuove con fame vera. Christian non ci pensa due volte. Lascia la Premier, lascia le notti di Stamford Bridge, gli uggiosi pomeriggi passati in quel di Cobham. Sceglie Milano. E lo fa senza slogan, senza riflettori. Sembra uno di quei migranti del secondo dopoguerra immortalati con maestria da Uliano Lucas. Pulisic con una valigia piena di domande sovrastato da uno dei piloni in cemento del Meazza. Il figlio di un continente di immigrati che diventa calcisticamente emigrante a sua volta. Un sorprendente paradosso figlio di quel villaggio globale che è il calcio.
A Milanello ci mette poco a farsi voler bene. Parla poco, corre tanto. Gioca ovunque, si sacrifica, inventa. Gli occhi della tigre che ha tatuati sull'avambraccio sono molto più di un semplice segno d'inchiostro sottopelle. L'altro colpo estivo, Samuel Chukwueze, finisce presto in panchina. Gol all’esordio contro il Bologna, un destro a giro da cartolina. Poi altre reti, assist, prestazioni. E soprattutto, continuità. Quella che gli era mancata da anni. Sotto la guida di Pioli, diventa uomo ovunque: esterno, trequartista, mezzala offensiva se serve. Non chiede nulla, ma dà tutto.
“Pulisic è il classico americano con la mentalità europea” - dice qualcuno in tribuna stampa. Ma in fondo Christian è qualcosa in più: è il simbolo di una generazione che non ha bisogno di urlare per essere ascoltata. Con Pioli, il Milan vive una situazione di calma apparente. I rossoneri venivano da un ciclo strepitoso, avevano toccato il cielo e ora scendevano lentamente. Pulisic si trova in mezzo, né colpevole né salvatore. In una squadra che comincia a perdere equilibrio, lui ne trovava uno tutto suo: silenzioso, ostinato, sincero.

Luce nell'oscurità: Pulisic nella stagione 2024-2025
—La squadra chiude seconda e il maggio 2024 è il tempo degli addii. Pioli, Giroud e Kjaer se ne vanno al termine di un Milan-Salernitana 3-3 in grado di dire molte cose sul conto di quell'annata. Pulisic sente ancora di essere a metà strada tra la promessa e la realtà. Arriva Fonseca. Ritmo, pressing, idee, e una voglia quasi adolescenziale di fare un calcio bello, anche a costo di farsi male. Il Milan corre più degli altri, ma non sempre nella direzione giusta. Anzi, spesso lo fa in senso ostinato e contrario, come le parole che l'allenatore portoghese spesso spende ai microfoni nei post partita per strigliare i suoi.
Pulisic però non si smarrisce. Si prende la fascia destra, la trasforma definitivamente nel suo regno. Va a segno per la prima volta nel derby di Milano. Palla recuperata nella metà campo interista, serpentina tra la retroguardia nerazzurra e tocco chirurgico a battere Sommer. Ma la stagione di Fonseca è un’altalena, l'ennesima della carriera di Pulisic che, forse, avendo già conosciuto quel senso di nausea che scaturisce in quei frangenti, non si lascia abbacchiare contrariamente ai suoi compagni. Le vittorie entusiasmano, le sconfitte lasciano ferite profonde. E in mezzo a quel caos, c’è sempre lui: costante, affidabile, la faccia pulita di una squadra la cui lama sta perdendo il filo.

Mr. Supercoppa, gol decisivi e trofeo con il Milan 2024-25
—Poi è il turno di Conceição, e con lui la tempesta. Il Milan diventa una squadra complicata, nervosa, dura da decifrare. Il nuovo tecnico porta energia, ma anche fratture. Il momento clou di gennaio, nelle nuovissime final four di Supercoppa Italiana, è la grande illusione. Contro la Juve, Pulisic segna la rete del momentaneo 1-1 dagli undici metri. Un autorete di Gatti su traversone di un altro americano, Musah, chiude la contesa. In finale, sarà così derby.
A dieci minuti dalla fine, il Milan è sotto di un gol, e l’Inter sente già sente il trofeo tra le mani. Il pallone finisce tra i piedi di Pulisic, appena dentro l’area. Controllo, finta, destro secco. Gol. San Siro è lontano, ma si sente come se tremasse lo stesso. Quel gol non vale solo il pareggio: vale un’appartenenza. Perché in quel gesto c’è tutto, il coraggio, la pazienza, la fede cieca di chi non smette di provarci. Pulisic come un Rocky Balboa d'Arabia.
Pulisic si ritrova ancora una volta a dover cambiare pelle: da esterno di corsa a uomo d’ordine, da creatore a finalizzatore. Segna, sì, ma la squadra non segue più. Si difende male, inciampa nelle proprie paure, e la classifica diventava una ferita sanguinolenta. Il Milan affonda nella melma della mediocritas, eppure Pulisic, sempre lui, resta in piedi. A fine stagione è il miglior marcatore con undici reti, il simbolo di una squadra che ha perso quasi tutto e che in quegli occhi felini ha visto un raro bagliore di fiamme nella notte più cupa e polare.

Pulisic al Max, il Milan di Allegri ha il suo Avenger
—Allegri trova così un Milan pieno di lividi. E Pulisic lì, sempre silente, pronto a ricominciare. “Dobbiamo prendere meno gol” - dice Max. E Pulisic capisce subito: si ricomincia dall’essenziale. Con Allegri, il Milan torna pragmatico. Linee corte, equilibrio, pochi fronzoli. Pulisic non protesta. Si adatta, ancora una volta. Charles Darwin sarebbe fiero di lui. Un archetipo di calciatore vincente per definizione. Ma stavolta non solo accetta: guida. È lui il riferimento offensivo, la voce calma che manca nello spogliatoio.
Segna, crea, corre. Non ha più bisogno di dimostrare niente. È diventato ciò che Milano chiedeva: un giocatore adulto, maturo, milanista nel modo più autentico: quello di chi non si lamenta, ma reagisce. In questo inizio di stagione, il suo Milan è tornato a respirare. Sei gol in otto partite conditi da due assist, un gioco più compatto, la sensazione che qualcosa stia cambiando davvero. Pulisic è lì, nel mezzo di tutto, come un punto fermo in una città che non perdona i deboli. Lo guardi ora, e non sembra più un ragazzo arrivato dall’altra parte dell’oceano. Sembra nato a Milano. Non per accento o abitudine, ma per spirito.
Ha imparato cosa significa difendere un risultato, sbagliare un rigore e tornare comunque a testa alta. Christian Pulisic oggi non è più “l’americano”, il prodotto del calcio globale e l'uomo voluto da RedBird. Pulisic ha imparato a soffrire con eleganza e in silenzio ha trovato il modo più milanese che ci sia di dire una cosa semplice: io resto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA