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C’è un momento, ogni volta che il Milan rischia di capitolare, in cui il mondo si ferma. È una frazione minuscola, quella che separa il tocco di un avversario dal boato di uno stadio. Mike Maignan vive in quei momenti e per quegli istanti. Non nel rumore, ma nel silenzio che lo precede.
Quando è arrivato a Milanello, nell’estate più silenziosa dopo un addio pesante come quello di Gigio Donnarumma, in tanti hanno pensato, scritto, sentenziato che sarebbe stato “un buon portiere”. Ma a Milano, “buono” non basta. A Milano devi avere le spalle larghe, fare i conti con la Storia, con i volti di Cudicini, Albertosi, Galli, Rossi, Dida, Abbiati, essere un simbolo, far battere i cuori. Ogni parata deve diventare un racconto da appendere alle pareti dei corridoi di Milanello. E lui, il ragazzo di Cayenne ma cresciuto nelle banlieue di Parigi, ha scelto la via più difficile: quella del carisma senza rumore.
Non parla molto, Maignan. Ti guarda, fa un cenno, biascica qualche parola con quella pasta vocale così baritonale e riprende a squadrarti. Quando ti scruta, tuttavia, capisci il perché di quel soprannome, “Magic Mike”. È il tipo di portiere che trasforma la paura in disciplina. Che urla addosso alla propria difesa se balbetta su un raddoppio di marcatura, ma ti abbraccia con lo sguardo quando ti rialzi dopo un tackle. Nel Milan dello scudetto 2022 e della cavalcata europea dell'anno successivo, la sua presenza era qualcosa di mistico: come se i guantoni fossero calamite per ogni pallone impazzito. Il miracolo sull'inzuccata di Kane a Londra o il rigore parato a K'varatskhelia nella notte di Napoli sono oggi lì a dimostrarlo.
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A differenza dei portieri di un tempo, che aspettavano il tiro, Maignan il destino lo affronta. Esce in volo, anticipa in scivolata. Parla con la difesa come Napoleone a Austerlitz alla sua retroguardia. Maignan sa leggere la partita, ma anche leggerne l’anima. Quando lo guardo scaldarsi prima del match, provo sempre un senso di sicurezza che si diffonde, come una preghiera mormorata tra i pali del Meazza.
L'asciugamano posato sull'avambraccio, la borraccia in una mano, i guantoni infilati nei pantaloncini. Gli indici alzati appena prima di calpestare l'erba che ogni calciatore vorrebbe arrivare un giorno a calcare: quella di San Siro. Un rito che cela la volontà di dare tutto. Lo sguardo e i cenni con le mani in direzione della Curva chiudono la liturgia.
Ogni suo lancio di cinquanta metri è una promessa. Ogni sua parata, un atto di fede. E Milano è diventata così la città che si riflette nei suoi guanti. Perché Milano ama i vincenti silenziosi. Quelli che non chiedono nulla, ma si prendono tutto. E Maignan è esattamente questo. Quando ha salvato il Milan da un gol certo, o quando ha urlato ai compagni dopo un errore difensivo, non stava solo difendendo una porta. Stava difendendo un’idea, un progetto: quella di un Milan tornato stabile non perché ha speso più di tutti, ma perché ha creduto più di tutti.
Maignan imposta dal basso, detta il ritmo della difesa, trasmette sicurezza a chi gli sta davanti.
Quando il Milan ha alzato lo Scudetto, dietro ogni esultanza, ogni dribbling, ogni gol, l'assist in quel Milan-Sampdoria per Leao è ancora nei cuori di tutti i milanisti, lui c'era. Mike Peterson Maignan, con il suo sguardo calmo e la voce ferma, ci insegna che la grandezza non è squillo di fanfare. La grandezza è concentrazione, lucidità, impenetrabilità.
Oggi, guardando Mike Maignan, vedi il Milan. Un Milan nuovamente solido e sintonizzato sulla stessa lunghezza d'onda. I richiami sono tornati ad essere pressanti, la gestualità istrionica, i suoi decibel hanno preso a mischiarsi con quelli di Allegri. Le parate poche ma decisive: da Vojvoda in Torino - Milan del 2022 a Gatti in Juventus - Milan del 2025; due zero a zero molto simili.
In Mike Maignan c’è davvero tanto, forse tutto: l’eleganza, la rabbia e la redenzione. C’è il fantasma del passato, potrebbe essere il secondo grande portiere della nostra Storia a lasciare il Milan a parametro zero, a e la certezza di un futuro in cui darà tutto. Mike Maignan è il custode del quadrante del tempo. Mike Maignan è esso stesso il tempo che si ferma un attimo prima del miracolo. E quando allarga le braccia sotto la Curva Sud, non sta solo salutando i tifosi. Sta ricordando a tutti che, finché lui è lì, il Milan non cadrà.
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