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A quasi 36 anni, Alexandre Pato, ex stella del Milan e simbolo di una generazione che ha sognato con i suoi gol e la sua eleganza, apre il cuore in un’intervista esclusiva ad Andrea Ramazzotti per La Gazzetta dello Sport. Parole cariche di malinconia e maturità, dove il brasiliano racconta di aver perso il sacro fuoco per il calcio, pur mantenendo intatto l’amore per i colori rossoneri.
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“Quando ero al San Paolo - esordisce Pato in un’intervista esclusiva ad Andrea Ramazzotti per La Gazzetta dello Sport - mia moglie Rebecca aspettava mio figlio, per la prima volta ho capito che andare ad allenarmi non era più una priorità: volevo stare tutto il tempo accanto a lei. E adesso che c’è Benjamin, voglio vederlo crescere, non perdermi neppure un attimo di tempo con lui. Ha un anno e mezzo e già calcia il pallone”.
Pato è oggi impegnato in una tournée con il Milan nella veste di Legend, tra eventi, tifosi e sorrisi, ma dentro di sé sa bene che il pallone ha smesso di essere una missione.
“Chissà... Non credo come tecnico, o almeno questo è il mio pensiero attuale. Forse come dirigente o come proprietario di un club. Nella mia carriera ho accumulato tanta esperienza e posso metterla a disposizione dei calciatori. Vorrei farlo”.
L’ex attaccante non esclude un ritorno nel mondo del calcio, ma con un ruolo diverso, più maturo, dietro la scrivania.
“Ne ho avuti sia quando sono stato giovane sia nel finale della carriera. Al Milan cercavo sempre di accelerare il recupero perché volevo aiutare i compagni. A volte finivo per farmi male di nuovo. Pentito? No. Gli infortuni ti insegnano. Se sei giù e trovi la forza per risalire, poi sei una persona migliore”.
“Ho giocato nella migliore squadra del mondo, il Milan, con il forte di tutti, nonché mio idolo, il Fenomeno Ronaldo. Ho indossato le maglie del Brasile e del Chelsea, ho fatto un’esperienza importante in Cina e sono tornato al San Paolo. Il calcio mi ha dato tanto e non ho rimpianti. Se ripenso al passato, sorrido. E ora mi godo il presente”.
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