Igli Tare intervistato a Milanello dalla giornalista albanese Grida Duma: "Sentivo che sarei passato dall'essere un calciatore ad un allenatore, come mi sentivo durante l'era comunista con i miei compagni di scuola, quando sedevamo al "Parku Rinia" e dicevo sempre loro che un giorno mi avrebbero visto in Serie A, nel campionato italiano. Mi dicevano sempre che ero pazzo e non mi credevano. Dopo 15 anni, ho incontrato per caso un mio amico che mi ha raccontato questo fatto. Credo che se hai un sogno, devi saper lottare e realizzarlo. Ho un'espressione che uso sempre: "Quello che per altri è la fine, per me è solo l'inizio".
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Igli Tare, una vita dopo l’Albania: “Mi dicevano che ero pazzo…”

Perchè lasciare l'Albania?
—"Quelle che erano le idee degli anni '90. Il mio desiderio di provare la mia carriera fuori dall'Albania era... Forse, nel corso degli anni, è stata un'idea sbagliata, forse ho scelto la strada più lunga, perché avrei potuto avere la migliore carriera in nazionale. Sono andato in Grecia il primo anno, è stata un'esperienza piena di alti e bassi. Ho avuto l'opportunità di conoscere i lati positivi e negativi del paese in cui sono andato. Il periodo selvaggio e brutto della visione razzista degli albanesi".
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—Ecco perchè..."Per questo motivo, ho scelto di andare in Germania in seguito, per entrare nel mondo del calcio. Il mio adattamento è stato traumatico, ero senza nessuno, ricominciavo tutto da zero, o addirittura da zero. Con la mia borsa in spalla, andavo a cercare la squadra dove avrei potuto provare e mi avrebbero dato l'opportunità di entrare. Ci sono andato un pomeriggio, febbraio o marzo, ho chiesto loro di allenarsi con me e poi mi hanno detto che sarei rimasto con loro, mi hanno anche trovato al lavoro.
"Ho lavorato come giardiniere"
—"All'inizio mi vergognavo molto. Le prime due settimane in Germania, pensavo che chi mi avrebbe riconosciuto, mi coprivo, tenevo gli occhi aperti solo perché pensavo che se qualcuno mi avesse guardato, avrebbe detto "È così che è passato da calciatore a giardiniere". Pulivamo con lui, i miei colleghi, il gruppo di lavoro, pulivamo i parchi, i fiori, gli alberi, ma dopo 2-3 settimane, vivevo con orgoglio, perché non stavo facendo nulla di male, se non il fatto che stavo sopravvivendo e avevo un'opportunità economica per aiutare la mia famiglia. Questo è l'unico (lavoro) che ho fatto, ho lavorato per 6 mesi, poi me ne sono andato e ho avuto l'opportunità di provare per una grande squadra in Germania in quel periodo".
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