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Le parole dell'ex capitano

Davide Calabria torna sul Milan: “Non era mia intenzione lasciare il Milan”

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L’ex capitano rossonero Davide Calabria si racconta senza filtri: orgoglio, delusioni e una separazione mai digerita dal Milan.
Gaetano de Santis
Gaetano de Santis Redattore 

L'addio di Davide Calabria al Milan, consumatosi nel gennaio 2025, non è stato né semplice né indolore. Dalle parole rilasciate a Undici emerge chiaramente come la separazione sia arrivata dopo mesi di tensioni silenziose, incomprensioni e un progressivo allontanamento che ha lasciato segni profondi. Non tanto per la fine di un contratto, quanto per la rottura emotiva con un club che Calabria ha sempre sentito come casa.

Davide Calabria torna sul Milan: “Non era mia intenzione lasciare il Milan”- immagine 2

(Photo by Sara Cavallini/AC Milan via Getty Images)

Nell'intervista non c'è rancore esplicito, ma traspare una delusione profonda. Calabria non rinnega nulla del suo passato rossonero, anzi ne rivendica con orgoglio ogni momento, dallo Scudetto del 2021/2022 alla Supercoppa Italiana 2025, passando per le difficoltà e le critiche affrontate negli anni più complicati. Tuttavia, è evidente come l'epilogo non sia stato all'altezza del percorso fatto.

Il Milan resta una parte indelebile della sua identità calcistica e umana, ma proprio per questo l'addio pesa di più. Non tutte le storie d'amore finiscono adeguatamente e quella tra Davide Calabria e il Milan è una di queste: intensa, autentica, ma conclusa repentinamente e non con la giusta considerazione.

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Davide Calabria e l'addio al Milan: una ferita ancora aperta

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Di seguito un estratto dell'intervista per la rivista Undici, con un focus sul Milan e se tutto quello che ruota attorno all'universo rossonero.

Sei cresciuto a Milanello, hai vinto trofei e guidato la squadra dei tuoi sogni da capitano. Cosa si prova quando finisce tutto da un momento all’altro?

"Nella vita tutto finisce, quindi prima o poi sarebbe successo. Certo, ho sempre sperato più poi che prima. Io sono super orgoglioso di aver fatto parte del Milan per così tanti anni, tra giovanili e prima squadra. È una cosa che in pochi possono dire d’aver fatto, soprattutto crescere nel settore giovanile, esordire, restare in prima squadra, diventarne capitano e vincere trofei. Son cambiati compagni, allenatori, dirigenti e società ma son rimasto a lungo e giocando spesso. Non ho nessun rimpianto. Ne vado fiero. Da tifoso giocare per il Milan era il mio sogno e ce l’ho fatta, non avrei mai immaginato di diventarne il capitano. Abbiamo alzato trofei, sono entrato in un Milan che non era ciò che il club era abituato ad essere e ho lasciato una squadra che lottava per scudetto e coppe, anche se penso mancasse un ultimo tassello per poter essere competitivi in Champions League. Ripeto: tutto finisce. Poi è finita com’è finita, è successo. Ci sono state delle cose che hanno fatto un po’ male a tutti, nate in una stagione brutta per determinati fattori. Penso di averci rimesso più io, forse ero troppo legato al Milan e certe cose faticavo a mandarle giù. Quei mesi sono stati pesanti. Finché poi il malessere coltivato è uscito ed è stata presa la decisione di separarci. Era diventata una situazione pesante, dovevamo fare qualcosa. Non era minimamente la mia intenzione lasciare il Milan. Quello che è successo lo sapete tutti anche se non lo dice nessuno".

Cioè?

"Dopo anni e anni tra il Vismara e Milanello, persone conosciute alle quali voglio bene e dopo aver condiviso così tanto mi è dispiaciuto andar via per degli episodi spiacevoli. Quei momenti penso abbiano rovinato un pochino la mia immagine, non facendo nemmeno nulla di male…

Chi mi conosce davvero sa come sono, ho il mio carattere, ci ho messo e metto sempre la faccia e il cuore, ci tenevo particolarmente ovviamente, ero capitano, non sono uno che si illude che tutto possa andare sempre bene e fingere che non ci siano mai problemi. Tanti poi si sfogavano con me. Parlandone e avendo rispetto si migliora. Questa cosa magari mi è tornata contro in quel periodo. Sicuramente preferisco morire con le mie idee piuttosto che morire con le idee di altri. Ho dovuto accettarlo, onestamente non volevo più avere a che fare con certa gente. C’erano poche soluzioni sinceramente: magari finire fuori rosa o aver altri problemi. Oppure andar via. E se ti dico come si è creata l’opportunità di Bologna…".

Il saluto al Milan e l'arrivo al Bologna

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Si sono allineati i pianeti?

"Sì. In quel momento non stavo giocando con il Milan. Il Bologna aveva chiesto informazioni. Ovviamente per me non se ne parlava neanche, volevo restare a Milano. Mi dissero che Sartori fece una battuta al mio ex agente: “Se dovesse mai discutere con il mister, sappiate che noi ci siamo”. Due giorni dopo successe quello che tutti abbiamo visto purtroppo… Mi è dispiaciuto tanto. È stato molto imbarazzante e fuori luogo per quel che mi riguarda, non sapevo spiegarmelo. La situazione era abbastanza delicata. E allora abbiamo colto l’occasione per andare a Bologna".

Cosa ti è passato per la testa quando hai lasciato Milano in lacrime?

"È stato tutto veloce. Un momento un po’ surreale. Lasciavo Milanello per non entrarci più. E ho fatto molta fatica ad accettarlo dopo tanti anni. Pensavo che non avrei più visto tutte le persone che ci lavorano dentro, ai miei compagni, che mi dicevano di non andare. Secondo loro sarei dovuto rimanere, tutt’ora me lo ribadiscono. Ai tifosi, che penso siano i migliori del mondo. Al non indossare più la maglia della mia squadra del cuore. È stato un colpo veramente duro. Da un lato poi ho capito quanto ci tenevano e mi volevano bene tante persone, sia all’interno che all’esterno di Milanello, mi ha fatto molto piacere. Dall’altro ti chiedi quanto sia giusto lasciare squadra e ambiente nel momento in cui la tua volontà sarebbe quella di rimanere. Quando ho ricevuto l’ufficialità della partenza ho fatto il giro tra i campi di Milanello, ho pianto molto, ho salutato tutte le persone, increduli che stesse succedendo davvero, ho preso le mie cose e sono uscito sapendo che il giorno dopo non sarei più tornato dopo dodici anni. Non è stato facile, per nulla. Mi ha fatto male. Ma ho dovuto accettarlo per andare avanti".

L'eredità lasciata da Davide Calabria al Milan: la considerazione dei suoi ex compagni

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Matteo Gabbia ci ha detto che sei il suo mentore. Vuol dire che nonostante tutto hai lasciato un buon ricordo, no?

"Questa non l’avevo letta, mi fa piacere. So che Matteo mi stima ed è una cosa reciproca, ci tengo molto. Lui è uno di quelli che più ha provato a convincermi a restare a prescindere dalla situazione… Tante cose non escono, non sono una persona che parla molto tra social, interviste e giornali, se non mi viene chiesto. Ma se qualcuno dovesse chiedere di me a Milanello penso che parlerebbero tutti bene, ho lavorato, rispettato e voluto bene a ognuno, ho sempre fatto del mio meglio per aiutare chiunque, ho rapporti con tutti lì dentro, ancora oggi. Mi hanno visto crescere, si è creato un bel legame con molti. E con Matteo è successo lo stesso. È uno di quelli che sento di più e con cui vado più d’accordo. Finalmente si sta iniziando a parlare di lui ed in maniera super positiva, senza sottovalutarlo senza motivo. Sta dimostrando tante cose e sono davvero orgoglioso e contento di quello che sta facendo, è un giocatore importante ed intelligente, che sa di calcio".

Chi era il tuo mentore al Milan?

"Forse è una cosa che mi è un po’ mancata. Sono entrato in prima squadra in un momento di confusione, i giocatori cambiavano ogni sei mesi, non c’era una base solida, nei primi quattro anni sono passate tre società diverse. Non c’è stata la possibilità di avere un mentore, anche se l’avrei voluto tanto avere. Una cosa che si sottovaluta, che ha detto anche Kjaer ultimamente e che condivido, è quella di avere persone che sappiano comunicare, persone sulle quali puoi contare, che abbiano esperienza e leadership, soprattutto silenziosa, quella che nel momento del bisogno ti aiuta ad emergere e riuscire a mantenere un gruppo solido per anni. Si tratta di un aspetto che i dati che vanno di moda oggi non possono vedere.  Se si cambia di continuo non è detto che si trovi la direzione giusta. Bisogna capire anche le relazione in un gruppo, i legami che si creano e che ti fanno crescere, forse ancor prima del talento. Ecco, se dovessi scegliere che figura essere direi Simon Kjaer. È stato uno di quelli con cui mi sono trovato meglio negli ultimi anni: non è sulla bocca di tutti, non è mai sulle prime pagine, ma nello spogliatoio è uno di quelli che parla alla squadra, e nella maniera giusta, con calma ed intelligenza. Non gli interessava niente della parte pubblica, è sempre stato uno concreto. Così è come piace a me e come voglio essere".

Calabria sul Milan di Massimiliano Allegri

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Risposta secca: il Milan di Allegri è da Scudetto?

"Sì, assolutamente. La squadra è forte, hanno trovato finalmente una figura in grado di creare un gruppo coeso e proteggerlo, capace poi di dare delle basi difensive solide, secondo me fondamentali per vincere. Allegri è un vincente, ha già vinto tanto in Italia e sa come farlo. Ha esperienza ed in più giocano una volta a settimana: hanno il tempo di recuperare le energie e lavorare sulle sue idee. Sarei stato curioso di essere allenato da lui, me ne parlano tutti bene e sono tutti contenti di lui. E poi a me fa impazzire come comunica, è il migliore su questo e spesso fa morire dal ridere".