Il vincolo sportivo è un istituto giuridico in virtù del quale l’atleta rimane legato alla Società con la quale sottoscrive il “cartellino”. Nella vigenza di tale istituto, il giocatore non potrà tesserarsi presso un’altra Società, a meno che quest’ultima non si accordi con l’atra per pagare una cifra per lo svincolo.
Punti di vista
L’abolizione del vincolo per le giovanili: finta battaglia liberale

Tale istituto era stato già soppresso per tutti gli atleti professionisti con una normativa ad hoc, successiva alla famosa sentenza Bosman del 1995.

La riforma del vincolo sul piano normativo
—L’art.31 del D.Lgs n. 36/2021, che entrerà in vigore dal 1 luglio 2025, ha previsto l’abolizione del vincolo sportivo anche per i giocatore che militano in società dilettantistiche, amatoriali o giovanili. La ratio di tale intervento riformatore è abbastanza chiara.
A bilanciamento di quest’eliminazione, la riforma legislativa ha stabilito, in caso di primo contratto di lavoro sportivo, la necessità di un premio di formazione tecnica (indennizzo). Tale premio dovrà essere versato dalla società sportiva professionistica che mette sotto contratto il giocatore alla società sportiva dilettantistica, amatoriale o giovanile nella quale il giocatore ha svolto il proprio percorso di formazione.
Tutto ciò dovrà avvenire secondo parametri precisi, che tengano conto della durata e del contenuto formativo del rapporto. La modifica legislativa infatti ha lasciato alle singole Federazioni l’onere di determinare il premio o l’indennizzo per la società che ha formato il giocatore. Tale determinazione – secondo la legge – dovrà tenere conto dell’età degli atleti e di tanti altri fattori.
Senza dubbio la riforma legislativa è animata da un intento nobile, ovverosia quello di tutelare nella maniera più ampia la libertà contrattuale del giocatore professionista. Qualsiasi allargamento del perimetro della libertà individuale, teoricamente, è un fatto che va applaudito. Esiste però un rilievo relativamente alle società sportive giovanili. Vediamo perché.

Nessuna libertà per i minorenni, bensì scelta professionale delegata a procuratori ed entourage...
—I ragazzi sotto i 18 anni non sono liberi. O meglio non possono esserlo. La libertà – valore supremo – è strettamente connessa alla responsabilità. Chi non è responsabile non può essere libero. La legge italiana vincola la capacità d’agire per gli individui al compimento del diciottesimo anno di età. Relativamente ai giocatori minorenni, la riforma non realizza una visione autenticamente liberale. La libertà, infatti, valorizza le scelte personali. Nel caso di giocatori minorenni, le scelte personali vengono invece derogate a procuratori, agenti di mercato ed entourage.
In tale contesto, inoltre, per tutti i club sportivi diventa assolutamente non conveniente investire sul settore giovanile. Il famoso discorso secondo cui “bisogna investire sui giovani nel calcio”, rischia concretamente di trasformarsi in una vuota retorica, priva di valore reale. Che senso ha per un club investire nella formazione di un ragazzo per poi vederselo portar via da un giorno all’altro?

Qualcuno potrà anche sostenere che il sistema degli indennizzi dovrebbe in qualche modo tutelare i club. Mi permetto di osservare come la delega in bianco lasciata alle Federazioni è un vero e proprio autogol normativo. Dietro questo pasticcio legislativo, si cela la presunzione luciferina di chi pensa che sia possibile determinare a tavolino il valore di mercato di un giocatore. Si tratta di una insensatezza mirabile che richiama al valor impositus della moneta - riconosciuto al sovrano - di esperienza medievale.
Il valore di un giocatore lo fa sempre il mercato, la legge della domanda e dell’offerta in base alla quale non esiste un prezzo immorale, perché qualsiasi prezzo un club è disposto a pagare per avere un giocatore, sarà sempre un prezzo in linea coi parametri di mercato, ovverosia con le scelte libere delle società che acquistano. Illudersi che esista un indennizzo federale è una follia, dal triste sapore statalista.
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