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LA NARRAZIONE CONTINUA

Milan, il Tiro al Leao: lo Sport preferito durante la Sosta per le Nazionali

Davide Capano
Davide Capano Redattore 
Durante ogni sosta per le Nazionali, Rafa diventa puntualmente oggetto di critiche ricorrenti, spesso scollegate dalla realtà…
01:21 min

Milan, il “Tiro al Leao”: una narrazione ciclica e prevedibile

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Ad ogni sosta per le Nazionali, lo spartito si ripete: il numero 10 del Milan, Rafael Leao, finisce nel mirino. Sui media, nei talk sportivi e nei social, si scatenano critiche che suonano sempre più come una filastrocca già sentita. “Non è continuo”, “non segna abbastanza”, “non ha fatto il salto di qualità”, “non sa calciare”, “è indolente”. Accuse, spesso prive di contesto, che sembrano più legate alla narrazione che ai dati.

Non importa cosa abbia fatto nelle settimane precedenti: durante la pausa, il tiro al bersaglio ricomincia. Un copione stanco, che da tempo ha smesso di sorprendere.

Pregiudizi tecnici e paraocchi mediatici

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Leao paga la sua natura di giocatore “diverso”. Estroso, creativo, a volte istintivo. Un profilo che, per molti osservatori, continua a generare fastidio più che fascino. Lo si incasella nello stereotipo del talento svogliato, un cliché che resiste al tempo e ai fatti.

Eppure, i numeri raccontano una storia diversa: gol, assist, presenza costante nella manovra offensiva del Milan, miglioramenti visibili anche in fase di ripiegamento. Ma queste sfumature fanno fatica ad emergere in un panorama mediatico che predilige lo slogan al ragionamento.

I numeri che pesano: il caso Juventus

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Una delle critiche più ricorrenti riguarda il rendimento di Leao contro le big. In particolare, contro la Juventus. E qui il dato è oggettivo: Rafael Leao non segna contro i bianconeri dal 7 luglio 2020. Da allora, ha affrontato la Juve 10 volte, collezionando 0 gol e 1 assist (gennaio 2021). In totale, da quando veste il rossonero, ha giocato 13 gare contro la Juventus, per 901 minuti complessivi, con solo 1 gol e 1 assist.

È un dato che va considerato, certo. Ma per essere onesti, va anche contestualizzato.

Ad esempio: Dusan Vlahovic, centravanti tra i più apprezzati della Serie A, non ha mai segnato al Milan con la maglia della Juventus. Sei partite, 267 minuti giocati, zero reti.

Questo non serve a denigrare nessuno, ma a dimostrare che anche i grandi attaccanti possono avere difficoltà contro grandi squadre. Il calcio è fatto di momenti, di contesti tattici, di equilibri. Ridurre tutto a una statistica e costruirci sopra un processo sommario non è analisi: è retorica.

Perché torna sempre la solita minestra?

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Il motivo è semplice: durante la sosta per le Nazionali c'è bisogno di riempire spazi. Leao, con il suo carisma e il suo status, è un nome che genera attenzione. È mediaticamente "redditizio", anche quando viene criticato. Le sue giocate dividono, le sue pause alimentano dibattiti, e ogni occasione è buona per riproporre l'eterna domanda: “è davvero un campione?”

Così si crea un corto circuito narrativo: se gioca bene, si dice che potrebbe fare di più. Se gioca male, si confermano i dubbi. In nessun caso viene realmente valutato per ciò che è: un giocatore in crescita, con margini enormi e un contributo già fondamentale per il Milan. E un ex allenatore rossonero ha dato a Leao un endorsement pesante.

Milan-Leao: critica sì, ma con onestà

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Le critiche a Rafael Leao sono legittime. Non è perfetto. Talvolta si assenta dalla partita, altre volte sbaglia scelte. Ma l’analisi dovrebbe partire dal campo, non dai preconcetti. Osservarlo senza filtri significa riconoscere i suoi limiti, certo, ma anche le sue qualità: velocità, imprevedibilità, generosità crescente, contributi decisivi in zona gol.

Serve equilibrio, voglia di approfondire, e soprattutto correttezza intellettuale. Altrimenti si rischia di svilire la critica sportiva, trasformandola in un esercizio di demolizione personale più che di crescita collettiva.

Meno cliché, più calcio

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Rafael Leao continua a essere uno dei simboli di questo Milan. Con pregi, difetti, momenti di luce e di ombra. Ma etichettarlo ogni tre per due non aiuta né lui, né il dibattito sportivo. Al contrario, svilisce il valore della discussione, riducendola a slogan vuoti e ripetitivi.

Il salto di qualità, forse, dovrebbe farlo anche chi racconta il calcio: meno certezze assolute, più voglia di capire. E magari, ogni tanto, anche di apprezzare e/o sorprendere con temi nuovi.

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