Milos Kerkez, ex terzino della Primavera rossonera, è prossimo a un grande salto in Premier League. E puntuale come un orologio svizzero, parte il solito ritornello: "Il Milan lo aveva, e lo ha lasciato andare...".
SOLITAMENTE È BEFFA, MA C'È ANCHE RIMPIANTO
Kerkez al Liverpool e la solita retorica sul “rimpianto Milan”: serve un cambio di passo
Una narrazione ciclica, già vista con Locatelli, Cristante, Aubameyang, Darmian, e persino con Cutrone per un certo periodo. Ogni volta che un ex cresce altrove, si attiva il riflesso condizionato del rimpianto. Ma a lungo andare questa retorica diventa più dannosa che utile.

Il Milan e i suoi giovani: davvero un’eccezione?
—In realtà, la dinamica è universale. Tutti i top club lasciano andare giovani che poi esplodono altrove. È parte integrante di un sistema complesso, dove entrano in gioco fattori come il momento tecnico, la concorrenza interna, la pressione del risultato, la sostenibilità economica e la visione del progetto.
La differenza è che solo nel caso del Milan ogni cessione sembra diventare un fallimento da prima pagina. In altre piazze si accettano meglio i cicli, qui si trasforma ogni giovane esploso altrove in una colpa da esibire.
Un’ossessione mediatica controproducente
—Il problema non è il dispiacere per un talento sbocciato altrove, che è umano. Il problema è l’insistenza, il tono accusatorio e la continua sensazione che il Milan debba giustificarsi per ogni scelta fatta. Questo crea un clima di eterna autocritica, dove tutto viene rivisto col senno di poi.
Eppure, negli stessi anni in cui "si rimpiange Kerkez", il Milan ha saputo valorizzare Leao, valorizzare Kalulu, puntare su Theo quando sembrava irrecuperabile, e portare in prima squadra talenti come Gabbia, Pobega o Bartesaghi. Perché non si parte mai da lì?

Guardare avanti, non all'indietro
—Il punto è questo: le grandi società si valutano sulla continuità del progetto, non sui singoli casi. Ogni stagione si prendono decisioni difficili, alcune si rivelano sbagliate, altre azzeccate. Ma nessuno ha la sfera di cristallo.
Quello che davvero serve è rafforzare i processi di valutazione e inserimento dei giovani, non cadere ogni volta nella trappola del “se solo…”. È un approccio sterile, che guarda al passato e non costruisce futuro.
Meno nostalgia, più visione
—Il caso Kerkez, come tanti prima, non dovrebbe essere un capo d’accusa, ma una lezione tecnica da inserire nel percorso di crescita. Se il Milan vuole continuare a competere ad alti livelli, serve anche maturità nella narrazione che lo circonda.
Non ogni giovane diventato forte altrove è un fallimento. Non ogni cessione è un errore. A volte, semplicemente, i tempi non coincidono. E forse, smettere di vivere ogni talento lasciato andare come un tradimento sarebbe già un passo avanti.
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