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Rino Gattuso non è solo una scelta tecnica. È una scelta di pelle, di cuore, di radici. È la Calabria che sale in panchina: quella della terra dura e dei sentimenti teneri, dell’urlo che spiazza e dello sguardo che, quando si fa muto, dice tutto. Gattuso non parla per sembrare, ma per essere. Se grida, sta depistando. Se tace, sta colpendo nel segno. Un uomo che ha fatto della simpatetica gioviale aggressività il suo codice d’onore. Non a caso chi lo conosce lo definisce così: schietto come il pane di casa, passionale come quando ammiri un tramonto con la tua Lei o il tuo Lui sulla costa jonica. Magari a Schiavonea, frazione di Corigliano Rossano, un angolo di Paradiso scolpito dal Padre Eterno sulla Terra.
Rino incarna il perfetto spirito del concetto nietzschiano di “volontà di potenza”. Non si accontenta di partecipare: vuole plasmare, trasformare, forgiare con il sano fuoco interiore.
Ogni allenamento, ogni giorno, ogni notte, ogni partita, ogni pasto è una prova di esistenza. L’Italia, con lui, non sarà mai neutra o opaca. Sarà carne viva, urgenza, fame. Sarà un collettivo saggiamente peperino.
Per Gattuso, trepidare per il suo Milan e per la sua Italia è come guardare un film di Fellini: è fotogramma pazientemente allineato, è poesia che trabocca tra la panchina e il prato.
Il calcio è visione, è caos ordinato, è un modo per raccontare chi siamo e da dove veniamo. E da dove viene Rino lo si capisce subito: da un’Italia profonda e autentica, che non cerca effetti speciali e lustrini ma verità.
In un calcio moderno spesso dominato dai contratti faraonici, Gattuso ha scelto più volte la passione invece del denaro. Lo ha fatto a Pisa, a Creta, al Milan, a Napoli durante il Covid. Ha detto sì dove altri avrebbero detto no. Perché lui allena se sente, non se conviene. Vive il calcio con lo stesso trasporto con cui un artigiano lavora il legno (Rino lo sa bene, dato il passato di papà Franco da falegname…): non per diventare ricco, ma per lasciare un’impronta.
Gattuso non dimentica da dove viene. I sacrifici li conosce bene: sin da bambino, quando lasciò casa e affetti per inseguire un pallone con la fame negli occhi e il profumo di olio canforato. Ogni passo nel fango, ogni pullman o treno preso da solo, ogni notte passata lontano dalla famiglia ha scolpito il carattere che oggi porta in Nazionale. E nella sua testa, un pensiero ritorna spesso già: il 19 luglio 2026. Il New Jersey Stadium di New York. La finale del Mondiale. Non è solo un sogno.
BERLIN - JULY 09: Gennaro Gattuso of Italy, holds aloft the world cup trophy after the FIFA World Cup Germany 2006 Final match between Italy and France at the Olympic Stadium on July 9, 2006 in Berlin, Germany. (Photo by Andreas Rentz/Bongarts/Getty Images)
È una traiettoria scritta nei nervi. Perché per uno come Gattuso, tutto è possibile, se si lotta con il cuore. Vent’anni e dieci giorni dopo Berlino.
Rino Gattuso non è solo grinta, tattica e panchina. È un uomo che ha fatto della fatica un principio morale. Dice sempre: "Nella vita nessuno ti regala nulla. Bisogna farsi un mazzo tanto". E non è una frase fatta: è la sua autobiografia. Chi lo ha visto lavorare sa che Rino è il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene. Non perché glielo chiedano, ma perché lo sente dentro. Perché nel suo mondo, il talento serve, ma il sudore è sacro.
In un mondo calcistico spesso avvolto da un torpore pigro e rassegnato, Gattuso è il lampo di fulmine che squarcia l’oscurità dell’indolenza. È lui, con la sua rabbia controllata e la sua passione irrefrenabile, che può ridestare dal sonno profondo quella compagnia neghittosa, che troppo spesso si lascia andare all’abulia. Quando Rino siede in panchina, non è solo un allenatore: è un profeta della lotta, un guerriero d’animo che chiama a raccolta chiunque abbia dimenticato cosa significhi combattere con il cuore. La sua voce, che alterna sussurri carichi di verità e grida taglienti come lame, scuote le fondamenta di ogni dubbio e accende la scintilla di un risveglio necessario, quel fuoco sacro senza il quale non si può vincere né vivere davvero.
Con Gattuso, la Nazionale italiana non solo proverà a vincere. Proverà a sentire, ad amare, a sbagliare con coraggio, a rialzarsi con dignità. Sarà un’Italia fatta di uomini prima che di calciatori.
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