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UNA MANATA IN FACCIA DIVIDE L'ITALIA

De Marco inutile sproloquiare, il rigore del Milan è sacrosanto

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È pura retorica, ma mettere sullo stesso tavolo arbitri e pirateria fa capire che i problemi del calcio italiano sono enormi e vanno risolti
Mattia Giangaspero
Mattia Giangaspero Direttore responsabile 

A San Siro, più che un rigore, è stato fischiato un terremoto. Da domenica sera il calcio italiano si divide su un episodio che, in sé - sarebbe dovuto restare un dettaglio di cronaca - e la sua conseguenza: la mano di Parisi sul volto di Giménez, il rigore assegnato dopo revisione VAR, e la vittoria del Milan contro la Fiorentina. Quando però ci sono di mezzo i rossoneri la comunicazione esterna diventa sempre più imprevedibile. Non si sa mai cosa possa accadere. Non ogni giorno, ma ogni minuto è vissuto con ansia. Dal dietro le quinte: "Cosa ci inventiamo adesso? Ci sono: Una manata che divide l'Italia. E poi partono applausi e risate". 

Infatti da tre giorni non si parla d’altro che del fallo di Parisi su Gimenez. Ah precisiamo che se Gimenez non fosse stato del Milan questo editoriale non sarebbe mai stato scritto e ci potete arrivare da soli. 

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Una manata che divide l'Italia e gli arbitri

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L’arbitro Marinelli, in campo, aveva lasciato correre. Decisione che, stando a quanto rivelato da De Marco a Open VAR su DAZN, sembrava coerente con la sua prima lettura: “Per me non è rigore”, sono state le parole sentite dalla Sala Var. Poi, però, lo stesso VAR lo richiama. L’arbitro guarda, rivede e riflette comunque in autonomia. Già questo elemento deve far capire a tutti la distinzione tra chiaro ed evidente errore e scelta personale, anche se presa sotto consiglio. Marinelli, quindi, cambia idea. Calcio di rigore. Leão trasforma, il Milan vince.

Fin qui, è pura cronaca. Tuttavia il dopo partita — e soprattutto il dopo Open VAR — ha riaperto la solita polemica italiana: quella di un sistema arbitrale che sembra non riuscire a parlarsi con una sola voce.

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De Marco giudicare l'oggettività è malafede

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De Marco, responsabile della Commissione Arbitri Nazionale per i rapporti con i club, ospite in trasmissione a OpenVar, ha infatti dichiarato che “quello non è mai rigore”, aggiungendo che “il VAR non doveva intervenire”. Parole nette, che lasciano intendere che Marinelli, inizialmente, avesse giudicato bene.

Fin qui, tutto legittimo. Ma il problema nasce quando De Marco, per sostenere la sua tesi, mette a confronto l’episodio di San Siro con il contatto Thuram–Bonny in Juventus–Inter di qualche settimana fa.

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Un paragone che, a guardare le immagini, regge poco, anzi è preoccupante. In Milan–Fiorentina, Parisi perde il controllo del pallone, guarda l’avversario e lo ostacola con una manata, seppur lieve. In Juventus–Inter, invece, Thuram non smette mai di guardare il pallone: l’azione è dinamica, l’intenzione è chiara. Due contesti completamente diversi. Eppure, c’è chi continua a paragonarli come se fossero la stessa fotografia.

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Il problema non è il rigore al Milan: gli arbitri non sanno comunicare

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Il punto, allora, non è tanto stabilire se il rigore fosse “da fischiare” o meno — opinione che resta, inevitabilmente, soggettiva — ma piuttosto capire come sia possibile che esponenti di rilievo della classe arbitrale parlino pubblicamente con giudizi così discordanti, mettendo in discussione le decisioni dei propri colleghi e, di fatto, la credibilità dell’intero sistema. La soggettività non si potrà mai eliminare, ma mettere in discussione l'oggettività allora diventa malafede.

Quando chi dovrebbe fare chiarezza alimenta la confusione, a perdere non è solo un arbitro o una squadra. A perdere è il calcio italiano.

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Rocchi ha potere e non ha bocciato gli arbitri Marinelli e Abisso: stop

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Gianluca Rocchi, designatore degli arbitri, prima dell'intervento di De Marco ha giudicato il lavoro di Marinelli e Abisso e non li ha sospesi. Inoltre Rocchi ha sottolineato quanto sia importante, una linea comune e la capacità di comunicare in modo coerente. Le parole di De Marco, allora, rischiano di diventare un boomerang: prima di parlare in TV, sarebbe forse opportuno confrontarsi internamente, allineare i messaggi, evitare di dare l’impressione che ognuno giudichi a modo suo come se si fosse tifosi al bar.

Perché la verità è semplice: non serve gridare al complotto, non serve cercare fantasmi dietro ogni decisione. Serve solo uniformità e coerenza. Tutto il resto è rumore di fondo. Un rumore che spetta ai tifosi, non ai professionisti che devono solo e semplicemente lavorare.