Allegri e Spalletti condividono una filosofia calcistica simile: il modulo conta poco, ciò che importa è la resa collettiva.
Il modulo è sempre stato uno dei principali argomenti di discussione tra addetti ai lavori e tifosi, soprattutto quando si parla di un allenatore. Così continua a essere anche per Massimiliano Allegri e Luciano Spalletti. Il nuovo tecnico della Juventus ha appena firmato un contratto fino al giugno 2026, con opzione di rinnovo automatico fino al 2028 in caso di qualificazione tra le prime quattro posizioni in campionato per la Vecchia Signora.
Ora che il nuovo corso bianconero ha ufficialmente preso il via con l’annuncio dell’ex commissario tecnico, tornano alla mente le parole pronunciate da Spalletti durante il Festival dello Sport di Trento, lo scorso 12 ottobre. Nel corso dell’evento organizzato da RCS, l’allenatore toscano si era soffermato su un momento chiave della sua carriera: la tesi del Corso Master UEFA Pro, dal titolo "Il sistema di gioco 3-5-2". Da quel documento nacque una riflessione ampia sul suo modo di intendere il calcio, evidenziando una predilezione per il 3-5-2, pur avendo dimostrato nel tempo grande versatilità tattica, vincendo anche con moduli differenti (come nel caso dello scudetto conquistato con il Napoli nel 2022/2023).
Al contrario, Massimiliano Allegri nella sua tesi del Corso Master UEFA Pro, intitolata “Caratteristiche dei tre centrocampisti in un centrocampo a tre”, aveva analizzato in dettaglio il modulo utilizzato durante la sua prima avventura al Milan e da Spalletti durante la sua avventura scudettata con il Napoli. Un sistema che era anche stato preso in considerazione anche per la sua nuova avventura in rossonero, ma successivamente accantonato in favore del 3-5-2.
Allegri e Spalletti: una stetta di mano sul modulo
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Tornando appunto all’attualità e al tema tattico più discusso del momento, si nota come il modulo utilizzato da Massimiliano Allegri, seppur con evoluzioni dovute al tempo, richiami da vicino quello trattato nella tesi del neo tecnico bianconero. Un 3-5-2 rivisitato, ma che resta il sistema di gioco più caro ad entrambi.
Allegri e Spalletti condividono un principio comune: non è il modulo a determinare il valore di una squadra, ma il posizionamento dei giocatori nel ruolo più adatto alle loro caratteristiche. Mettere ogni calciatore nelle condizioni migliori per esprimere le proprie qualità è, da sempre, la chiave del loro successo. Come amano ripetere entrambi, "non conta il modulo, ma la resa complessiva della formazione scelta". D’altronde, il calcio è semplice, un mantra di "Allegriana memoria".
Spalletti: un tatuaggio da nascondere e un gioco da mostrare
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Sul tatuaggio che porta sull’avambraccio sinistro, dedicato al terzo scudetto del Napoli, Spalletti ha dichiarato nella conferenza stampa di presentazione come nuovo allenatore della Juventus: "Stamattina mi sono fatto tirare il sangue durante le visite mediche e ho chiesto all'infermiere di farlo dall'altro braccio perché dalla parte non volevo si tirasse via nulla e si toccasse nulla. Io tornerò a Napoli e mi rimarrà sempe nel cuore quella piazza, al di là delle scelte professionali che ho fatto".
Parole che arrivano dopo dichiarato che l’esperienza partenopea fosse per lui l’apice di un percorso: "Napoli ultima esperienza in un club? Napoli me la sono voluta tenere per ultima, per alcune dinamiche precise. Certo che non avrei mai potuto allenare un’altra squadra in Italia. Quando uno è stato in quel contesto lì, ha vissuto partite da allenatore e ha indossato la maglia di Maradona, diventa difficile tornare da avversario".
Sempre durante la conferenza stampa di presentazione alla Juventus, ha poi chiarito: "Questo fatto di estrapolare quello che ho detto su Napoli e per Napoli, sul discorso dell'indossare un'altra tuta, riguardava quella stagione lì. Perché io dicevo al presidente di lasciarmi libero, che era meglio, ma non avrei messo un'altra tuta in quella stagione lì. Ma non è che io debba smettere di fare l'allenatore. Poi l'opzione è scaduta, ho avuto rispetto di quell'opzione. Dopo quella stagione io dovrò andare a fare delle altre esperienze, al di là della Juventus. Che si sappia che è un decontestualizzare una cosa dalla realtà".
Allegri e il gol di Muntari: quando le storie si intrecciano
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Un percorso differente a livello di dichiarazioni, ma non meno significativo, quello vissuto da Massimiliano Allegri. Nell’estate del 2014, venne presentato come allenatore della Juventus. Pochi mesi dopo l’esonero dal Milan e a poco più di due anni dal celebre gol di Muntari, non convalidato nonostante il pallone avesse superato la linea nella sfida scudetto del 2012.
In quell’occasione, Allegri dichiarò ironicamente: "O hanno sbagliato a tracciare il campo oppure la linea era più grossa. Purtroppo un episodio ha falsato la gara. Indipendentemente da tutto, questo gol ci ha creato danno, sul 2-0 sarebbe stata una partita diversa".
Una volta approdato alla Juventus, lo stesso Allegri tornò sull’episodio, ammettendo con lucidità: "Sicuramente in quel momento lì sbagliai io, perché non dovevo fare dialettica con la Juventus. Noi eravamo i più forti, eravamo in testa al campionato ed era successo un episodio che nel calcio può capitare. Forse a volte è meglio stare zitti. Credo che dopo il goal non dato a Muntari un silenzio fino al termine del campionato sarebbe stato più intelligente".
Insomma, Allegri e Spalletti sono la prova che le idee con il tempo possono cambiare, proprio come i moduli e gli interpreti in campo.
Le storie dei due allenatori toscani dimostrano che, ancora una volta, pur avendo seguito percorsi differenti, si ritrovano oggi uniti da una filosofia comune: quella di un calcio pragmatico, vincente e moderno, capace di partire dalla provincia e arrivare fino ai vertici del calcio europeo.