Il biondo d'artista

Lo specchio del Diavolo – Ruben Buriani

Ruben Buriani
Dallo scudetto del '79 e quella stella cucita sul petto, al fango della B col trionfo agrodolce in Mitropa Cup: questo è Ruben Buriani, "il matto" in moto perpetuo.
Samuele Virtuani
Samuele Virtuani Redattore 

Con l'addio direzione Torino di Romeo Benetti, il Milan ha bisogno di riempire una voragine a centrocampo. L'arrivo di Fabio Capello dà inevitabilmente esperienza, ma non basta. Serve altro. Il presidente Vittorio Duina mette mano al portafoglio per cercare un sostituto di Benetti e lo trova in Ruben Buriani, centrocampista biondissimo in grado di abbinare le stesse caratteristiche del partente Benetti: moto perpetuo tra fase offensiva e difensiva, buona tecnica e tiro potente.

Cinque gli anni di militanza rossonera, dal 1977 al 1982, nei quali arrivare a toccare il cielo con un dito, è indiscusso protagonista dello scudetto della stella nel 1979, ma anche il fango della Serie B con la prima retrocessione della storia del Diavolo. A distanza di più di quarant'anni, la decisione di non andare via gli fa ancora onore.

[an error occurred while processing this directive]

Buriani bis per un derby da ricordare!

Ruben Buriani

Sport, Football, Italian League, Serie A, 4th October 1981, AC Milan 0 v Juventus 1, Ruben Buriani, AC Milan (Photo by Bob Thomas Sports Photography via Getty Images)

—  

I tifosi lo venerano immediatamente, perché alla prima seria opportunità fa venire giù la Sud. Al battesimo di fuoco nel derby è devastante: lo vince da solo con una meravigliosa doppietta che stende Ivano Bordon. Due reti pesantissime, sulle complessive 14 segnate in 180 partite. Il 6 novembre del 1977 il Milan di Nils Liedholm, con Nereo Rocco nel ruolo di direttore tecnico, è ospite, sulla carta, dell'Inter: per Buriani alla sua prima stracittadina, la 199ª di sempre, si aprono orizzonti di gloria eterna quando segna il primo e l'ultimo gol del 3-1 finale. Un forte fendente dalla media distanza e un rapido contropiede. Una gioia indescrivibile per chi sino ad allora non ha mai segnato. "Un matto" - queste le parole di Beppe Viola a commento della sua prestazione tra lo spregiudicato e l'incredibile nel suo servizio alla Domenica Sportiva.

"Pannocchia" non abbandona la nave 

—  

Per "Pannocchia", il colore biondo dei capelli si presta al soprannome, è l'apoteosi e da allora non può che fare solo meglio. Rivera nel corso del campionato 1978/79 è vittima di qualche noia fisica di troppo, e di conseguenza la sua maglia va a finire a turno su diverse spalle, tra cui quelle larghe e forti di Buriani. Chiamato a non far rimpiangere "l'abatino", Liedholm afferma con la sua solita flemma linguistica:

«Erano anni che quella maglia numero 10 non correva così tanto».

A prescindere dal legittimo giudizio del "Barone" Liddas, le sue incursioni da un lato e la sua capacità di coprire le avanzate di Rivera si rivelano come acqua nel deserto. Con il Milan decide anche di scendere in B e di non abbandonare la nave anche quando tutti vorrebbero gettarsi a bordo delle scialuppe di salvataggio. Con il suo apporto il Milan conquista la Mitropa Cup nel 1982, anche se Ruben Buriani gioca solo 3 delle 6 partite previste dalla manifestazione.

Ruben Buriani e quell'addio amaro

—  

L'ultima sua apparizione coi colori del Diavolo è triste per tanti aspetti: il 21 marzo 1982 la squadra è in trasferta a Como alla ricerca di pesanti punti salvezza ma perde anche contro l'ultima in classifica. E la partita di Ruben Buriani finisce dopo 45 minuti perché viene sostituito. Termina la sua gara, ma non lo splendido rapporto con il suo pubblico. Lascia il Milan per approdare alla Roma e poi al Napoli, dove subisce un brutto infortunio per una dura entrata di Mandorlini che lo relega in infermeria per diversi mesi. Fortunatamente si riprende in tempo per chiudere la carriera nella suaSpal, dove ha iniziato. Finisce agli estensi perché il Napoli esercita una clausola che concede alle società la rescissione del contratto dopo sei mesi di inattività.

Di Buriani, ciò che colpisce nei suoi anni da atleta è l'umiltà con cui affronta la vita, che da giovane gli aveva riservato non pochi problemi economici: è ultimo di quattordici fratelli in una famiglia piuttosto povera di Portomaggiore. Diventato giocatore affermato, non volta le spalle al passato: infatti, continua a vivere a Milano in un monolocale. E non dimentica mai le ristrettezze economiche subite, tanto che lo stipendio lo cede quasi interamente al padre, perché lo gestisca a beneficio di tutta la famiglia.

Perché al Milan si sono scelti, si scelgono e sempre si sceglieranno prima di tutto uomini.