+++Adrien Rabiot e le mille possibilità del cerchio: la storia, la carriera e i rapporti con Allegri +++
Il cavallo pazzo che pare correre in cerchio
Rabiot e le infinite possibilità di un cerchio

San Siro, 7 luglio 2020: il pallone rimbalza pigro a centrocampo, l’aria è ferma, il silenzio irreale. Nella notte che commemora il genio di Ennio Morricone, tra Milan e Juventus è stallo alla messicana. Non ci sono cori, né applausi: solo il suono dei tacchetti, le urlate dei portieri, quella di Szczesny si sentirà (ahilui!) benissimo, le indicazioni di Pioli e Sarri che rimbombano nel vuoto.

Il bizzoso Rabiot, il PSG, la Juve di Sarri e un'incompatibilità amara
—Adrien Rabiot prende palla nella propria metà campo, accelera, taglia dentro, scarta due uomini e lascia partire un sinistro che s’infila all’incrocio. Il fruscio della rete, l'urlo dei cronisti e poi un silenzio spezzato solamente della gioia del francese e dei suoi compagni che lo abbracciano. Un riverbero di strepiti destinato a perdersi nel nulla. Rabiot ha appena segnato il suo primo gol italiano in quello stadio che, cinque anni dopo, diventerà casa sua.
Un gol inutile ai fini del risultato, quella notte la Juventus cade 4-2, ma destinato a restare come un segno. Il primo, di un cerchio oggi chiuso. Rabiot in Italia ci arriva con trascorsi quasi da gatto, con l'aura di chi ha già vissuto troppe vite in pochi anni. Lascia il PSG dopo mesi di tribuna e silenzi, una madre-agenzia di se stessa e un talento che tutti riconoscevano ma pochi sapevano decifrare.
[Iscriviti al canale WhatsApp di Milanisti Channel per leggere in anteprima tutte le notizie sul Milan. Entra a far parte di una famiglia rossonera].

Il Rabiot con Sarri
—Alla Juventus, Sarri lo accoglie con la freddezza del professore del politecnico che deve spiegare analisi 1 a un laureando in lettere moderne appassionato di Baudelaire. Alla Continassa trova un sistema da rispettare, ruoli da seguire, schemi da imparare, carte da tenere ordinate con precisione.
Il duca in bianconero a parametro zero
—Rabiot, invece, gioca con l’istinto: allunga il passo, cambia lato, cerca il ritmo e non la forma. Non funziona. Sembra come in preda ad un indiavolato can-can tra un bicchiere d'assenzio e l'altro. Poi, a San Siro, quel gol nel silenzio. Quella gemma sprecata, quell'assolo eseguito davanti ad una platea vuota. Tutto maledettamente poetico, ribelle, antisistema. Un gesto scapigliato, solitario, come Adrien Rabiot è sempre stato. Quel momento, più che un punto di svolta, sembra un messaggio, un voler rivendicare con fierezza la propria presenza e i propri nobili natali: “Io ci sono, anche se non mi sentite”. E, del resto, da un "duca" non ci si può aspettare nulla di diverso.

Arriva Andrea Pirlo, torna Max Allegri
—Con Pirlo le cose migliorano solo a tratti. Più libertà, meno struttura, ma anche meno certezze. La Juve va alla ricerca "di qualcosa che poi, cos'è non lo sappiamo nemmeno noi". A Torino vogliono un volto imbellettato e trovano quello di un'impossibile chimera: una giovane donna d'esperienza. Rabiot, nel frattempo, diventa per tutti "il giraffone" e in campo tra stazza e portamento, sembra il Brachiosauro di Jurassic Park. Un calciatore superato, poco evoluto, inadattabile al calcio di una Madama sempre più avida di baci e simile alla "Contessa" tanto cara ai Decibel.

Il rapporto 'd'amore calcistico' tra Allegri e Rabiot
—L'Allegri bis, tuttavia, cambia le carte in tavola. Rabiot trova finalmente qualcuno che parla la sua lingua. Per Max, Adrien è come il mare: puoi provare a contenerlo, ma è meglio imparare a navigarlo. Con lui cambia tutto: posizione, fiducia, attitudine. Allegri gli dà spazio, ma soprattutto tempo. Lo fa diventare un centrocampista totale, uno di quelli che legano i reparti e sanno leggere le partite come se le avessero già vissute in un'esistenza parallela.
Da poeta maledetto, è in quel caos manicheo, un po' bianco e un po' nero, tra penalizzazioni inflitte e revocate, processi, dimissioni in blocco e veleni, che Rabiot dà sfogo alla sua versione più verace. In una squadra che oscilla, lui è la costante. Rabiot va in doppia cifra di reti, diventa per tutti il pretoriano di Allegri: pragmatico, orgoglioso, allergico ai riflettori ma capace di accendersi quando conta. La foto in cui i due sono uno al fianco dell'altro con stretta tra le mani la Coppa Italia appena vinta contro l'Atalanta vale più di qualsiasi discorso, intervista, analisi sul rapporto che si è creato tra i due.

Il peso di Rabiot in bianconero
—Quella Juventus per Allegri è "Rabiot e altri dieci". Max in un triennio lo allena per 128 partite, facendone il calciatore più impiegato nella sua seconda parentesi torinese. Lo ha messo in campo praticamente sempre quando abile e arruolabile: 45 presenze il primo anno, 48 il secondo e 35 il terzo. Il risultato sono stati 16 gol e 11 assist in totale. Con la vittoria di quella Coppa Italia il 15 maggio 2023, i due sembrano avere in sottofondo Phil Collins e la sua pluripremiata "Against all Odds". Insieme, contro ogni previsione, hanno portato un trofeo alla Juventus dopo un triennio di digiuno.
La tensione alla Juventus
—La tensione è tanta e, come dicevano gli antichi abitanti della città che ospita la finalissima del trofeo nazionale, "in cauda venenum". Nel cuore della notte dell'Olimpico di Roma, Allegri è novello Michael Douglas. Dopo aver già rimediato un'espulsione a gara ancora in corso, il livornese Max sbrocca, allontana la sua nemesi Giuntoli durante la cerimonia di premiazione dei bianconeri, inveisce contro il designatore Rocchi, litiga col direttore di Tuttosport Vaciago in sala stampa e finisce col danneggiare l'attrezzatura di una troupe televisiva. La Juventus se ne disfa il giorno dopo con un licenziamento per giusta causa.
Il saluto di Rabiot ad un Allegri lontano dalla Juve
—Rabiot è uno dei primi a dedicargli un post sui social, con una dichiarazione per nulla di circostanza e resa ancora più sincera dall'ingenuo refuso di battitura: "Sarai ricordato come uno dei allenatori più vottoriosi della storia della Juventus. Meritavi un addio diverso. Grazie di tutto Mister e in bocca al lupo". Il suo addio, sic stantibus rebus, è solo questione di tempo. Motta lo vorrebbe in rosa, lui decide di cambiare aria.
Marsiglia matrigna, Milano col cuore in mano
—E la brezza mediterranea del porto marsigliese pare perfetta per rigenerarsi dopo l'aria viziata respirata all'ombra della Mole. Un ritorno a casa, teoricamente: la lingua, la Ligue 1, la sensazione di essere di nuovo protagonista. Ma chi conosce Rabiot sa che la tranquillità non è mai stata il suo habitat naturale. I primi mesi sono buoni, poi cominciano le crepe.
La rissa al Marsiglia
—Una lite nello spogliatoio, voci di incomprensioni con la dirigenza, tensioni amplificate da una piazza che vive di passione pura. Adrien si ritrova di nuovo nella stessa posizione di sempre: al centro del campo, imprescindibile, ma ai margini per chi sta dietro le scrivanie ai piani alti. E mentre Marsiglia si incendia parola dopo parola, da Milano parte una telefonata. "Ti passo tuo papà" - gli dicono tra il serio e il faceto dal centralino del quartier generale de Les Olympiens. Dall'altro capo del ricevitore, Rabiot sente quell'inconfondibile inflessione livornese. Allegri lo sta cercando.
Rabiot e Maignan di nuovo insieme
—Poche parole, il tono di chi non deve convincere, ma solo ricordare. Il Milan cerca un centrocampista di peso, Allegri un uomo che conosca il suo calcio. La trattativa si chiude in pochi giorni: dieci milioni al Marsiglia, contratto triennale, maglia numero 12. Un ritorno in Italia, sì, ma con una differenza: questa volta Rabiot non deve dimostrare chi è. Deve solo essere. Nessun dubbio sul suo conto, la sensazione che il Milan abbia fatto un affare pervade tutta la cronaca sportiva di quei giorni di fine calciomercato. A Milanello lo accoglie Maignan, che lo conosce bene. “Qui non serve parlare tanto,” gli dice. “Qui contano le espressioni, i gesti.” E lui, che le parole le pesa da sempre, annuisce convinto.

Rabiot-Milan: un nuovo capitolo da scrivere insieme
—E allora eccolo di nuovo qui, nello stesso stadio, cinque anni dopo quel gol nel deserto dei tartari. San Siro, che ora non è più solo un teatro di passaggio, uno sfondo fuori dai finestrini di un treno lanciato a folle velocità verso lo sviluppo di una carriera nata appesantita e tarpata dalla mutevolezza dell'animo umano. San Siro, ora, è casa. Lo stadio dei boati che allora non c’erano, delle luci vere, del rumore che mancava quella sera di luglio. Un luogo che gli restituisce tutto: l’eco del primo gol e la promessa di un nuovo inizio. Quell'inizio che, allora, fu tale solo per il Milan di Stefano Pioli, che grazie a quella vittoria certificò il declino che avrebbe atteso la Juventus negli anni successivi.

Rabiot l'equilibratore del Milan di Leao, Pulisic e Modric
—Rabiot oggi è un uomo diverso. Più maturo, più concreto, ma con la stessa eleganza di sempre. Non ha bisogno di essere il simbolo, per quello ci sono Pulisic, Leao e Modric, gli basta essere l’equilibratore. Allegri lo sa, e lo ha voluto per questo: perché il Milan non cerca più solo talento, ma sostanza, esperienza, memoria. Uno schema identico a quanto fatto sempre dal tecnico tra 2010 e 2011 nella sua prima esperienza alla guida dei rossoneri.
Il ragazzo che segnò in un San Siro vuoto torna in un San Siro pieno, stavolta con i tifosi dalla sua parte. È il cerchio che si chiude, ma anche un punto di partenza. Perché a volte, nel calcio come nella vita, le storie più belle iniziano proprio là dove sembrava che tutti ti avessero ignorato e il tuo talento avesse fatto solo rumore nel silenzio assordante, nell'indifferenza di un pugno di cuori induriti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA