Uno dei migliori complimenti a Juan Alberto Pepe Schiaffino lo ha fatto tanti anni dopo il suo ritiro il tecnico degli Immortali Arrigo Sacchi nel corso di un'intervista:
Che peperino... Pepe!
Lo Specchio del Diavolo – Juan Alberto Schiaffino
"Quando vidi Schiaffino per la prima volta avevo dieci anni. Rimasi folgorato non solo dalla bravura di questo calciatore, quando era in possesso della palla, ma di come lui avesse la capacità di trovarsi in tutti i posti. Pareva avesse il dono dell'ubiquità".
Juan Alberto Schiaffino è stato un centrocampista dall'intelligenza calcistica ineguagliabile. Estro, fantasia, classe da vendere: in Schiaffino c'era tutto in egual misura. Uruguaiano, nipote di nonno Alberto, pescatore emigrato da Camogli a Montevideo, è conosciuto da sempre con il soprannome di Pepe. La madre amava chiamarlo a casa con questo nomignolo che altro non è che un affettuoso diminutivo di Juan.
Schiaffino, il Brasile e il Milan di Rizzoli
—Proveniente dal Peñarol, Schiaffino gioca nel Milan dalla stagione 1954/55 alla 1959/60, mettendo a referto 71 reti, molte delle quali da stropicciarsi gli occhi. Nato e cresciuto per le strade di Montevideo, Pepe è notato dal patron rossonero Andrea Rizzoli e dal mondo intero il 16 luglio 1950. A Rio de Janeiro si gioca la finale del mondiale tra Brasile e Uruguay. I primi hanno la convinzione di potersi laureare campioni del mondo con estrema facilità davanti agli applausi e all'affetto della loro gente. I pronostici vedono i verdeoro come assoluti favoriti.
I calcoli della nazionale carioca vengono rispettati sino alla finale del Maracanã. Il teatro di quello che poteva essere un sogno, un'apoteosi, si trasforma, invece, in luogo di pianto, disperazione. In 200mila quel giorno assistono alla disfatta della Seleçao, a cui sarebbe bastato un pareggio. L'Uruguay fa lo scherzetto. Nasce così il mito del Maracanazo. Un'onta impossibile da cancellare. Nella celeste scende in campo dal '1 minuto proprio Schiaffino, abile prima nel segnare il pari (1-1) e poi a indossare i panni da assistman per la rete del sorpasso ai danni dei verdeoro firmata Ghiggia.
A Montevideo, e in tutto il piccolo paese sudamericano, l'Uruguay è il terzo stato più piccolo di tutto il Sudamerica dopo Trinidad e Tobago e il Suriname, scatta la festa e i due marcatori assurgono al rango di divinità pagane. E ciò non è certo una casualità: Schiaffino (Esciaffino se volessimo pronunciare correttamente il cognome) è considerato il Dio del pallone dai suoi concittadini.
Rizzoli si traveste così da John Hammond di Jurassic Park e "non bada a spese" pur di aggiudicarsi uno dei più grandi campioni dell'epoca, staccando un assegno da circa 50 milioni. Il 26 gennaio 1955, il Milan primo in classifica pareggia 2-2 in casa con l'Udinese, facendosi riacciuffare nel giro di pochi minuti in prossimità dello scadere. Stremato dai calcioni dei friulani, Schiaffino - peperino non solo nel soprannome ma anche caratterialmente - sul 2-1 si fa espellere dall'arbitro per reiterate proteste. Pepe contesta al fischietto l'incapacità di porre freno all'irruenza degli udinesi, alludendo ad una presunta corruzione ai danni del Milan. Nel mentre, tra un una lamentela e l'altra, Schiaffino sfrega l'indice contro il pollice. Il rosso è sacrosanto, come le 6 giornate di squalifica inflitte all'uruguaiano, esiziali per affondare il tecnico ungherese Béla Guttman qualche tempo dopo.
Juan Alberto Schiaffino "peperino"
—La pazienza è il tendine d'Achille di Schiaffino. Il 16 novembre 1958, termina ancora una volta anzitempo la sua partita in un Juventus-Milan al cardiopalma. Le sue ripetute lamentele costringono l'arbitro a mostrargli il rosso e il Milan a giocare con un uomo in meno. Grillo, tuttavia, interviene provvidenzialmente al novantesimo per fissare il risultato sul 4-5 finale. Schiaffino, però, è anche l'uomo che in quello stesso anno prova a portare il Milan sul trono d’Europa, ma dopo aver realizzato una tripletta nella semifinale della Coppa dei Campioni contro il Manchester United, il Pepe deve inchinarsi in finale al Real Madrid del geniale argentino, anche lui figlio di emigrati italiani, Alfredo Di Stéfano.
Il Milan cede Schiaffino alla Roma nel 1960, vendendolo per circa 100 milioni dell'epoca e incassando più del doppio di quanto aveva speso solo sei anni prima. Il giocatore, che si dice abbia ideato il tackle, è uno dei primi atleti a gestirsi con criteri manageriali con l'obiettivo di strappare sempre il miglior contratto possibile. Una disposizione d'animo alle volte un po' troppo veniale e che sfiora in due aneddoti tramandati con una certa ironia il paradossale.
Un genovese di nome Schiaffino
—Un giorno Schiaffino ha un'accesa discussione con il presidente Andrea Rizzoli. Pepe chiede al numero uno rossonero di alzare un premio partita ritenuto troppo basso. La risposta è piccata ma allo stesso tempo convincente:
"Se lei fosse il presidente del Milan dipingerebbe la pelle dei suoi giocatori di rosso e di nero per non consumare le magliette" (NewsSport, 1995)
In un secondo frangente, si dice che Schiaffino stesse passeggiando a Genova, il giorno dopo sarebbe stata in programma una partita contro i rossoblù, con Liedholm e Nordahl. Il primo propone di bere una caffè ai compagni. Mentre i tre sono in procinto di entrare in un bar, Schiaffino è vittima di un atroce dubbio:
"Ma il caffè lo paga la società?"
Preso atto di una risposta negativa, il fantasista estrae dal cilindro una risposta da consegnare agli annali:
"Il caffè mi rende nervoso"
Le origini genovesi del calciatore emergono prepotentemente. Schiaffino è proprio quel pepe che non guasta mai e che ha dato personalità alla storia del Milan.
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