Il lascito berlusconiano

Andare avanti sempre: il vero insegnamento di Berlusconi

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Si sta assistendo ad un uso strumentale della storica proprietà rossonera guidata da Silvio Berlusconi. Urge ristabilire la verità storica su cos'è stata quell'epoca e sul vero lascito del Presidente, al di là dei successi
mbambara
mbambara Vice direttore 

Sarà il clima negativo che, da qualche tempo, aleggia sul Milan, ma stiamo assistendo ad una riscoperta del periodo berlusconiano.

Detta così onestamente suona male. Adriano Galliani ha ricordato proprio qualche giorno fa come Berlusconi abbia contribuito a più della metà dei successi del Milan.

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Ventinove titoli dei quarantanove totali sono infatti stati conquistati sotto la presidenza del compianto Presidente.

Si può “riscoprire” l’età più aurea della storia rossonera?

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Il termine non è casuale, bensì voluto. La presidenza Berlusconi infatti, dopo la sua primissima fase (1986-1996), ha conosciuto l’onta delle contestazioni, delle prese di posizione, persino delle offese.

Piacevole leggere, oggi, il Milan berlusconiano come termine di paragone assoluto per ogni errore e/o omissione dell’attuale dirigenza.

Tuttavia la storia – soprattutto per chi l’ha vissuta – è stata molto diversa ed un filo più complessa.

Le contestazioni e le offese

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Prima un più contenuto “meno Forza Italia e più Forza Milan”, poi una marcia ad Arcore per il mancato arrivo del carneade Farinos. E come dimenticare poi la protesta per la cessione di Kakà “vendi a chiunque basta che te ne vai”, fino al “Presidente bocciato, assente ingiustificato” del maggio del 2010.

Gli ultimi anni del ciclo berlusconiano poi sono stati uno stillicidio di offese e di irriconoscenza gratuita. Berlusconi, secondo alcuni "illuminati" era diventato il “tappo” alla grandezza del Milan.

Oggi che il Presidente è passato a miglior vita, i lanciatori di pomodori dell’epoca vorrebbero quasi spiegare agli altri che cos’è stato il Milan di Berlusconi, nel tentativo di screditare ogni mossa dell’attuale Milan.

Non funziona così. Il Milan di Berlusconi non drammatizzava i problemi. Li affrontava senza cercare colpevoli.

Nel marzo del 2002 il Milan era quasi a metà classifica staccato di parecchi punti dalla zona Champions League e subì una fortissima contestazione dai suoi tifosi in quel di Bologna.

Quattordici mesi dopo, nel maggio 2003, quella stessa squadra, con lo stesso allenatore e la stessa società, vinceva a Manchester la Champions League.

Dei 14 giocatori di movimenti scesi in campo all'Old Trafford, 12 c'erano nella contestazione di Bologna. Di nuovi c'erano soltanto Seedorf e Nesta. Da un male quel Milan trasse quindi un bene, come voleva Berlusconi.

Andare avanti sempre

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La verità storica deve quindi essere ristabilita. Ci sono due cose che Silvio Berlusconi ha trasmesso a tutti in maniera pacifica: l’esercizio di ottimismo e la fiducia, anche nei momenti negativi e l’idea che si debba sempre andare avanti.

La parola d’ordine del suo Milan, qualsiasi cosa avveniva, era sempre “avanti”, contro ogni avversità e al di là di qualunque momento negativo o di qualsiasi sconfitta che, per il Presidente, faceva parte del gioco.

Il lascito più grande del Presidente, dopo i suoi irripetibili successi, è esattamente questo e non si deve mai dimenticare.

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