di Andrea Bosco -
E' TUTTO....
Ecco perché non serve rammaricarsi troppo per la cessione di Theo Hernandez
Nella vita c’è sempre un inizio ed una fine, un principio spesso entusiasmante ed un finale talvolta angosciante. Ma è il durante che rende il percorso unico e irripetibile; è il durante che crea i ricordi e li scolpisce nel tempo e nelle menti dei protagonisti. Il calcio, come la vita, è fatto di cicli, di inizi e di conclusioni: nulla dura in eterno, e l’ormai prossimo addio di Theo Hernandez al Milan ne è la prova.
Subito protagonista
—Sei anni fa si presentò in punta di piedi, scarto di quel Real Madrid pieno di stelle che non riusciva a garantirgli un posto fra i grandi. Alternava timidezza a momenti di forte garra agonistica, ma si videro subito le sue qualità, soprattutto in fase offensiva, che lo hanno reso in questi anni un terzino atipico, forse più adatto ad un 3-5-2 che ad una difesa a quattro. Maldini lo prese in simpatia sin dal principio, dandogli spesso dei consigli e lui, a poco a poco, si prese il Milan, divenendone un leader dentro e fuori dal campo. C’è soprattutto il suo timbro nello scudetto del 2022: insieme a Leao, Maignan, Giroud, Kessié e Tonali ha dominato campi ed avversari, con quel gol contro l’Atalanta a finire negli annali dello sport per le reti più belle e straordinarie di sempre.
L’inaspettato declino
Poi, ad un tratto, qualcosa è cambiato nella testa di Theo. Troppo facile affibbiare ogni responsabilità al licenziamento di Maldini: per quanto Paolo fosse stato importante per il suo adattamento, i professionisti seri rimangono professionisti seri. Le sue qualità non sono mai state in discussione, ma il suo atteggiamento, il suo apporto alla causa sì. Rimane ancora oggi uno dei dieci terzini più forti al mondo, ma da lui ci si aspettava una maturazione più omogenea, più impattante. La sensazione è che, nonostante sia un classe ’97, ne abbia ancora tanta di strada per diventare un top player nella testa. Negli ultimi due anni ha avuto un declino non indifferente: è apparso spocchioso, a tratti strafottente, disattento in fase difensiva, discontinuo e poco propenso al sacrificio quando c’era da rincorrere un avversario dopo una palla persa.
Ma il punto più basso è stato toccato contro il Feyenoord, con un fallo ed una simulazione non degne del leader quale si professava, per non citare l’ormai ripetuto cooling break e il rigore-gate di Firenze. Del vecchio Theo era ormai rimasto ben poco.
Poco rammarico, è giusto così
—Di ragioni per non rammaricarsi troppo della sua cessione ce ne sono dunque a bizzeffe. Ma il vero motivo per il quale bisogna prendere con diplomazia questa separazione è che il ciclo di Theo Hernandez al Milan è bello che concluso. Questo addio arriva addirittura con un anno di ritardo. Theo ha dato tutto quello che poteva dare, sia fisicamente che mentalmente. E’ giusto dirsi addio, non solo perché tra un anno rischiavamo di perderlo a parametro zero, ma per evitare di aggiungere altri ricordi negativi ad un matrimonio ormai logoro ma che verrà ricordato sempre con il sorriso. Quando arriva il momento, bisogna mettere da parte i sentimenti e trovare la forza e il coraggio di dire basta. Theo Hernandez è e resterà sempre uno di noi, questo non verrà mai rinnegato. Gli auguro di poter sfrecciare lungo i prati sauditi e di realizzare i suoi prossimi sogni. Bonne chance, Theo, e grazie per tutto.
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