PAPà DAVIDE CITA ANCHE RONALDINHO

Atalanta, Zappacosta: “Il Milan non è una squadra di attesa, ma…”

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Il numero 77 della Dea è stato intervistato dal "Corriere di Bergamo" a due giorni dal match di San Siro
Davide Capano
Davide Capano Redattore 

Di padre in figlio. Davide Zappacosta ha conosciuto per la prima volta Bergamo 15 anni fa, se n’è innamorato e racconta di una passione trasmessa di generazione in generazione. Da Roberto, il papà goleador, al figlio di 23 giorni Edoardo, bergamasco doc. Il numero 77 della Dea, a due giorni da Milan-Atalanta, è stato intervistato dal "Corriere di Bergamo". Di seguito riportiamo l'intervista integrale...

Atalanta, parla Zappacosta

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Da dove nasce la passione per il calcio?

«Da mio padre, ex calciatore. Ha sempre giocato fino all’anno in cui sono nato, poi nel 1992 ha smesso e ha iniziato ad allenare i ragazzini del settore giovanile del paese, per cui io a 5 anni, accompagnandolo sempre al campo, sono stato conquistato e ho iniziato a tirare calci al pallone».

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A Sora?

«Sì, al mio paese, fino ai 16 anni sono stato lì».

Chi la accompagnava agli allenamenti?

«Mi portavano quasi sempre mio padre e mia madre, ma dato che entrambi lavoravano si faceva a turno con i genitori di qualche amichetto».

Com’è stato poi dover lasciare casa?

«La prima volta dovevo venire proprio a Bergamo, per fare il provino per 3-4 giorni, poi mi hanno comunicato che mi avrebbero preso e sono tornato a gennaio. Avevo 17 anni ed è stato difficile, non è facile distaccarsi da genitori e amici, però ho avuto la fortuna di venire alla Casa del Giovane, con tanti altri ragazzi da fuori e gli educatori eravamo una famiglia allargata».

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Davide Zappacosta (Foto di Marco Luzzani/Getty Images)

Il calciatore preferito dell’album delle figurine?

«Mi sono sempre piaciuti i brasiliani, quelli con estro, come Ronaldinho, ho sempre guardato il calcio con l’occhio dell’appassionato, quindi amavo belle giocate e spettacolo».

L’ha poi visto dal vivo?

«Purtroppo no, non ho potuto giocarci contro, ero abbastanza giovincello quando giocava».

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Ronaldinho (Foto di Massimo Cebrelli/Getty Images)

Quando ha capito che il calcio sarebbe diventato un lavoro?

«Non l’ho mai capito, è stata una conseguenza di quello che è successo nel corso degli anni, ho iniziato per passione e ho continuato per passione. Quando sono passato tra i professionisti, dove ci sono le retrocessioni in ballo, allora ho forse realizzato, nell’Isola Liri (2009, ndr)».

Come va la preparazione verso il Milan?


«Io sto bene, mister Gasperini cerca sempre di metterci nelle condizioni ideali per non avere problemi durante la partita, stiamo analizzando tutti gli aspetti».

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Che gara sarà domenica a San Siro?

«Il Milan non è una squadra di attesa ma attacca molto, propositiva, sarà una partita aperta».

Che risposte ha dato la gara col Bologna?

«Ci ha dato una grossa spinta, era quello che serviva. Venivamo da qualche settimana un po’ così, anche se avevamo disputato discrete partite. Però nel calcio quando non ci sono i risultati si tende sempre a vedere tutto in maniera molto negativa. C’è di bello che a Zingonia teniamo il focus su quello che facciamo cercando di non farci condizionare dai risultati negativi e guardando con positività la gara successiva».

Si è sfiorato un altro pasticcio al cambio, doveva uscire Bellanova e non lei, come se ne è accorto?

«In realtà non me ne sono accorto, me l’hanno detto appena in tempo mentre stavo per uscire».

Un punto debole e un punto forte di questa Atalanta nella lotta Champions.

«Da migliorare c’è sempre tanto. Il punto forte è la collettività, quando si fa una corsa in più per il compagno poi diamo fastidio a tutti. Dobbiamo partire dall’essere squadra per fare le cose migliori».

L’esterno più ostico da battere?

«Tutti quelli che hanno gamba, ormai il calcio è andato oltre, si punta molto sulla fisicità, quelli veloci sono i più difficili da marcare».

Cinque gol e otto assist in stagione, è la sua annata migliore.


«Probabilmente sotto quel punto di vista sì. Ma per la vittoria dell’Europa League per me è stata la scorsa stagione la più bella. Metto la squadra al primo posto, ma mi fa piacere contribuire».

Magari per tornare nell’Italia di Spalletti.

«Ci spero perché è qualcosa in più, è il sogno che hanno tutti. Penso sia il punto più alto ma passa tutto dall’Atalanta, la mia Nazionale è lei. Cerco di fare il meglio e se arrivasse la chiamata sarei molto contento».

È ancora seguito dalla mental coach Romanazzi?

«Con Nicoletta ho iniziato quando ho rotto il crociato, mi sono reso conto che c’erano tante cose su cui avevo bisogno di lavorare dal punto di vista mentale. Ho fatto un percorso con lei che è durato tre anni, ci sentiamo ancora, è molto brava».

È un tabù parlare di certe tematiche nel calcio?


«Questo è un tema che viene visto così, si va con i piedi di piombo, non so se c’è paura o altro, ma posso dire che personalmente a me ha aiutato tanto, lo consiglio».

Il compagno del cuore?


«Con Francesco Rossi siamo in stanza assieme, mi tocca sopportarlo tutti i giorni e a tutti i ritiri (ride, ndr)».

Il 26 marzo è diventato papà per la prima volta di Edoardo.


«È stata l’emozione più bella mai provata in vita mia, poco ma sicuro».

Come concilia la paternità con il lavoro?


«È un po’ più difficile, il bambino ti toglie tante energie. Ci sono delle giornate in cui ha qualche colichetta o problema, magari non capisci bene cosa data l’inesperienza e quindi non riesci a calmarlo, la notte dormi un po’ meno perché ogni tot si sveglia. Però le ore di sonno che ti toglie te le ridà in gioia e amore, diventare papà mi ha dato parecchie energie, non mi sento in debito di sonno».

Come vi trovate lei e sua moglie Camilla a Bergamo?

«Benissimo, per noi è diventata casa. Conosciamo tantissime persone e la città è stupenda. Ci piace fare passeggiate, appena torna bel tempo non vediamo l’ora di uscire col bambino per fargli respirare un po’ di aria bergamasca!».

A giugno compirà 33 anni, cosa farà appese le scarpette al chiodo?

«Ogni tanto ci ho pensato, un domani vorrei rimanere nel mondo del calcio, è una passione troppo grande. Difficile abbandonarla, ma non so ancora in quale veste».