STORIA ALLO STATO PURO

Storia, Paolo Taveggia a Belgrado: lo stalker dell’arbitro Pauly…

Taveggia
Paolo Taveggia, lo storico direttore organizzativo senza filtri: "Tutto quello che ho avuto lo devo a una sola persona, Silvio Berlusconi"

Intervista di Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport -

Paolo Taveggia, 73 anni a ottobre, milanese, sangue interista ma storia prevalentemente milanista: "Berlusconi è l'uomo che mi ha dato quello che avrei potuto desiderare, gli devo tutto. Belgrado? All'andata 1-1, gol di Virdis. Andiamo al Marakàna, loro sono fortissimi. Stojkovic, Savicevic, Sabanadzovic, Ivanovic. Dopo il primo tempo capisco che non la vinciamo mai, lo stadio è un inferno. All'improvviso cala una nebbia fittissima e io penso: vuoi vedere che abbiamo acquistato delle macchine per produrla? Non si vede un cazzo. Ramaccioni mi costringe ad andare dal guardalinee per dirgli che la partita deve essere sospesa Con la mia faccia di culo comincio a stalkerarlo. A un certo punto l'arbitro, Dieter Pauly, tedesco, decide di sospenderla chiarendo tuttavia che non si tratta di un rinvio. "Dobbiamo aspettare che si alzi". Gli spogliatoi sono tre casette, una per gli ospiti, una più grande per la Stella Rossa e la terza per la terna e il delegato Uefa. Mi fermo nel giardinetto davanti alla nostra, in dieci minuti fumo quattro sigarette. Faccio l'errore di aprire la porta e vedo che i giocatori sono già tutti sotto la doccia, le maglie sporche buttate per terra, avevamo solo quelle. Il terrore"

E adesso?

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"Busso alla porta di Pauly e in un inglese stentato, volutamente stentato, confesso che mi sono sbagliato, non avevo capito e ho detto alla squadra che la partita è stata rinviata. La mia carriera nel calcio è finita, aggiungo, perderò il lavoro. Sembro John Belushi che si scusa con Carne Fisher nei Blues Brothers. Mi guarda, ci pensa su un istante, dà un'occhiata fuori e la rinvia alle 13 del giorno dopo. Avverto tutti, sollevato, e mi metto a organizzare il pernottamento dei tifosi che hanno deciso di fermarsi".

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"Rientrato in hotel, l'adrenalina a mille, non si dorme, chiedo a Guido Susini di accompagnarmi in centro. Ci facciamo dare l'indirizzo del pub più prestigioso di Belgrado e ci fermiamo davanti alla porta d'ingresso per un'altra sigaretta. Passano pochi minuti e vediamo arrivare una limousine tutta bianca, una Mercedes. Scendono tre ragazze pazzesche, l'arbitro e i guardalinee accompagnati da un dirigente della Stella Rossa. Incrocio lo sguardo di Pauly e lo saluto: ti ho visto e tu hai visto me. Giovedì". Si rigioca. "E Pauly ci annulla un gol col pallone dentro di un metro e mezzo, andiamo ai rigori. Te la senti, non te la senti, tiri tu, tiro io, quello che finge di telefonare a casa alla fidanzata, insomma il quinto ad accettare è Cappellini, ha appena 17 anni. Savicevic sbaglia, se segniamo la partita è nostra. Vedo che al posto di Cappellini si presenta sul dischetto Rijkaard che non era nella lista dei cinque. Gol. Raggiungo Frank, gli faccio i complimenti e chiedo come mai all'ultimo abbia deciso di tirare, non essendo in lista. "Ho visto la faccia del ragazzo" mi fa. "Se avesse sbagliato la sua carriera sarebbe finita lì, la mia no". Ah, dimenticavo...".

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Dimenticavi? "Mercoledì sera avevo chiamato Galliani - era rimasto a Milano - per dirgli che con Virdis espulso e Ancelotti che aveva preso il secondo giallo avevamo bisogno di recuperare Gullit che non stava bene. Ruud mi aveva spiegato che sarebbe sceso in campo solo se fosse arrivato da Amsterdam il suo preparatore Ted Troost". Che naturalmente arrivò. "Con l'aereo privato messo a disposizione da Berlusconi. Galliani volò in Olanda, prese Troost e lo portò a Belgrado".