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"Il Milan ha dato un senso, quello più profondo, alla mia vita, di questo sarò per sempre riconoscente. Un percorso netto, epico, cominciato all'oratorio. Quelle partitene infinite all'oratorio di Travagliato, il mio paese, sono state una scuola di vita. Lì in quel campetto vicino alla chiesa ho cominciato a sentirmi libero, e non parlo del ruolo, ma della possibilità di esprimere quel talento che dall'età di 14 anni andando a Linate e poi a Milanello ho messo al servizio del Milan dove ho avuto la fortuna di incontrare persone, uomini veri, dai dirigenti agli allenatori, che mi hanno aiutato a crescere e a diventare ciò che sono oggi", sono le parole di Franco Baresi nell'intervista rilasciata ad Avvenire.
In quell'oratorio giocava con suo fratello Beppe, anche lui diventato uno storico capitano dell'Inter...
"Quella mia e di Beppe, è una storia quasi unica. Abbiamo perso i genitori presto ma non abbiamo mai smesso di credere nel nostro sogno. Dopo quelle partite nell'oratorio ci siamo ritrovati a giocare insieme qualche partita nell'Under 21. Ricordo la prima da azzurrini a Tunisi, nel '78, c'era una pioggia e un vento che quelli del posto dissero non si vedeva da vent'anni. E' stato bello sorride - quando hai un fratello in squadra ti senti più tranquillo. Poi è stato fantastico anche da avversari: nei derby Milan-Inter chi vinceva sfotteva l'altro. Una battuta, una sghignazzata delle nostre e poi dritti negli spogliatoi, fratelli come e più di prima".
Come ha fatto a resistere così a lungo al Milan? "Ho capito che uscendo dal campo avrei studiato altre materie e in tutti questi anni è come se avessi fatto l'università. Ho scoperto che oltre al campo c'è un'altra vita, e per quella da allenatore e poi di responsabile tecnico fino alla dirigenza e ora la vicepresidenza onoraria, ho imparato come dice il titolo del mio libro a rimettermi "ancora in gioco': Il legame con il Milan è troppo forte ed essere qui significa sapersi adattare continuamente ai diversi ruoli che ti vengono richiesti".
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