A CUORE APERTO

Ex Milan, Paloschi racconta: “Ogni tanto mi riguardo il gol al Siena”

Paloschi-Milan
Alberto, oggi 35enne attaccante della Pro Palazzolo in Serie D, è stato intervistato dai colleghi di "Undici"
Davide Capano
Davide Capano Redattore 

Tutti i milanisti hanno nel cuore il gol di Alberto Paloschi al Siena il 10 febbraio 2008. Come dimenticarlo... Ebbene, oggi l'ex numero 43 del Milan, 35 anni compiuti il 4 gennaio scorso, gioca in Serie D nella Pro Palazzolo. L'ormai esperto attaccante, pochi giorni fa, è stato intervistato dai colleghi di "Undici" e ha aperto il libro dei suoi ricordi con uno sguardo anche all'attualità...

L'intervista a Paloschi

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Quanto aveva desiderato di segnare alla sua ex squadra?

"In realtà avevo solo sognato di sbloccarmi e di riuscire a siglare una rete importante per la mia di squadra, che ora si chiama Pro Palazzolo. A prescindere che l’abbia fatto contro il Desenzano, è andata bene. Sono contento soprattutto perché ci ha permesso di conquistare i tre punti. In fondo, sono qui per questo".

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L’emozione di un gol è sempre la stessa?

"Certo, che si tratti di Serie D o Serie A, cambia poco. Nel corso della settimana lavoro per quel momento e ogni volta è un’emozione nuova. Sono reduce da un’operazione al ginocchio (menisco, ndr), questa gioia l’aspettavo da tanto".

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Mani alle orecchie, esultanza rabbiosa. L’aveva preparata?

"Assolutamente no, mi è venuta spontanea. Quando segno non penso mai a come esultare. Arriva e basta".

A proposito di gioie improvvise. Come definirebbe oggi il suo debutto con la maglia del Milan?

"Indimenticabile. Credo che il mio esordio in Serie A sia quello che tutti i ragazzini sognano quando iniziano a giocare. Ha dato il là alla mia carriera e non nego che ancora oggi ogni tanto me lo vado a riguardare. È uno splendido ricordo, rivederlo è sempre una gioia".

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Alberto Paloschi in ritiro col Milan nell'estate 2011 (Foto di Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)

Le ha davvero cambiato la vita?

"Mi ha dato sicuramente una mano, aiutandomi a iniziare al meglio la carriera. Poi però ho intrapreso un percorso tutto mio e per fortuna sono riuscito a farne tanti altri".

Quel giorno, in campo insieme a lei c’erano Nesta, Cafu, Maldini, Pirlo, Seedorf, Ronaldo, Pippo Inzaghi… 

"Tutti grandissimi campioni, che mi hanno trasmesso soprattutto la cultura del lavoro. Nulla viene per caso. Anche dei fuoriclasse come loro, che in carriera avevano già vinto tutto, lavoravano per migliorarsi, curando ogni minimo dettaglio. Io cercavo solo di apprendere e 'rubare' il più possibile da ciascuno di loro. Una cosa mi impressionava in particolare: più vincevano e più avevano fame di vittoria. Quella era la vera forza del Milan".

Al tempo indossava la maglia rossonera numero 43, la stessa che veste ancora oggi.

"È un numero al quale sono molto legato. Ai giocatori della Primavera era solito assegnare numeri alti e a me era capitato il 43. Come sapete, mi ha portato molta fortuna, per questo dopo tanti anni ho voluto riproporlo qui a Palazzolo. Speriamo sia di buon auspicio".

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Alberto Paloschi nel febbraio 2008 (Foto di New Press/Getty Images)

In panchina c’era un certo Carlo Ancelotti. Cosa pensa di lui?

"Un mostro sacro del calcio ma soprattutto una persona genuina, sincera e leale. Da ammirare, cercando magari un giorno di ripercorrere anche solo l’1% di quello che è riuscito a fare. Sfido chiunque a dire qualcosa di negativo su Ancelotti".

Chi è oggi Alberto Paloschi?

"Un giocatore della Pro Palazzolo che vuole raggiungere un sogno: tornare tra i professionisti con questa maglia. È il mio unico obiettivo".

Cosa le piace fare lontano dal campo?

"Passeggiare in montagna con la mia compagna (Martina, ndr) e andare al cinema".

Il suo attore preferito?

"Leonardo DiCaprio, il migliore in assoluto".

Film?

"Tutti quelli in cui recita lui. Dal Lupo di Wall Street a Titanic, La Maschera di Ferro, C’era una volta a Hollywood. È difficile sceglierne uno".

Cosa pensa di aver dato al calcio e cosa pensa che il calcio abbia dato a lei?

"Tutto me stesso, a ogni singolo allenamento e a ogni partita. Per questo non ho rimpianti. Penso e credo di aver raccolto quello che meritavo. E in questi ultimi anni di carriera spero di riuscire a vivere ancora tante altre gioie. Ho imparato che spesso il calcio sa regalare emozioni inaspettate. Io lavoro per queste emozioni".

Che consiglio darebbe a un giovane che sogna di ripercorrere le sue orme?

"Solo uno: entrare in campo e divertirsi, sempre".

Che ambiente ha trovato a Palazzolo?

"Pieno di entusiasmo, fondamentale per inseguire le emozioni di cui parlavo prima. È una piazza calda che in passato ha già vissuto il professionismo e che non vede l’ora di tornarci. Bisogna solo coltivare il sogno e non smettere di crederci".

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Come vive il trascorrere degli anni?

"Penso che tutto ciò che ha un inizio abbia anche una fine. Ora però non se ne parla: nel mio corpo c’è ancora quella fiamma che mi fa rosicare quando perdo e godere quando vinco. Io voglio vincere ancora".

Qual è stato il momento più felice della sua carriera?

"Gli anni al Chievo Verona di Luca Campedelli, dove ogni stagione puntavamo a raggiungere il nostro piccolo scudetto: la salvezza. Continuando a stupire e a scrivere sempre nuovi capitoli di quella che è stata una vera e propria favola. Eravamo un bel gruppo: un gruppo di amici che si ritrovava in campo e ogni domenica battagliava. Sono stati senza dubbio gli anni in cui sono riuscito a esprimermi al meglio".

Il direttore sportivo di quel Chievo era Giovanni Sartori, che poi ha saputo fare grandi cose all’Atalanta e ora anche al Bologna. Era già così bravo?

"È sempre stato un dirigente silenzioso ma quando c’era bisogno di intervenire entrava in tackle senza problemi. Era molto rispettato da noi giocatori perché ogni volta che parlava diceva sempre cose molto sensate. Mai una virgola fuori posto. I risultati che ha ottenuto nel corso degli anni sono sotto gli occhi di tutti. È senza dubbio uno dei migliori direttori sportivi in circolazione".

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Alberto Paloschi con la maglia del Chievo nel gennaio 2012 (Foto di Giuseppe Bellini/Getty Images)

Guardandosi indietro, rifarebbe tutto?

"Assolutamente. Ho sempre dato il massimo, a cento all’ora e a testa alta. Sono a posto con la mia coscienza".

Il suo gol più bello?

"Non ne ho uno in particolare perché penso che anche il più brutto abbia una valenza importante. E per me quella è l’unica cosa che conta. Il gol è il premio del lavoro svolto ogni giorno in allenamento: che sia di tibia, di tacco, di collo, di testa o in rovesciata, è sempre riuscito a rendere migliori i fine settimana".

Nel suo stato di Whatsapp c’è scritto: “Chi vivrà vedrà”. Che significato ha per lei questa espressione?

"Sono un tipo molto fatalista. Credo al fato, al destino. Penso che qualcosa sia già stato scritto, poi però sta a noi indirizzarlo verso il bene o verso il male. Di certo serve avere tanta pazienza e sapere che alla fine ciascuno raccoglie quel che merita".