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Che barba, che noia, direbbe la meravigliosa ed indimenticabile Sandra Mondaini. Parlare di Milan fra milanisti, soprattutto fra i social, è diventato impossibile. Se non sei disfattista e non odi “la peggiore proprietà della storia”, sei automaticamente un lecchino, un servo ed un venduto. Personalmente ho sempre diffidato dei cori, dei greggi belanti. Ho sempre detto nella mia vita tutto quello che pensava la mia testa. A volte sbagliando, com’è normale che sia, ma mai facendo un banale copia/incolla del pensiero dominante o delle considerazioni di quelli che usavano i toni più forti e cattivi. D’altronde chi crede in ciò che dice, non ha bisogno di rifugiarsi in uno stile comunicativo gridato, fatto di insulti, offese ed insolenze di ogni tipo.
A me della proprietà americana del Milan non interessa nulla. La rispetto, ma non ho nessun legame affettivo e/o emotivo. Il mio Milan, per tutta la vita, rimarrà quello di Silvio Berlusconi e di Adriano Galliani. Ci sono cresciuto, ne ho assaporato ogni angolo gaudioso ed ombroso; l’ho amato visceralmente, soprattutto negli anni più bui, quando andava di moda riempire di pomodori ogni azione o atto di quella dirigenza. “Vendi, vendi a chiunque basta che te ne vai”. Non l’ho dimenticato e sarò sempre fiero di non essermi mai accodato a quel coro turpe e vomitevole, di disprezzo della nostra storia e di tutto ciò che eravamo stati. D’altronde nessun impero finisce in gloria ed anche l’impero berlusconiano non poteva finire fra scudetti e Champions League. La vita però va avanti ed il Milan viene prima dei gusti personali sulle dirigenze.
Quando è arrivata la proprietà cinese mi sentivo sinceramente spaesato, perché non riuscivo a concepire un Milan senza la sua proprietà storica. E dopo qualche mese, accortomi della frangibilità e dell’insussistenza della proprietà asiatica che deteneva il Milan, non mi sono messo a oltraggiare la mia squadra. Ho tifato come mai nella mia vita, travolto da paure tremende (a maggio 2018 si scriveva che il Milan non avesse i soldi per l’iscrizione alla Serie A) e da incubi che, per fortuna, non si sono materializzati.
Da sette anni il Milan è americano. E per me, globalmente, le proprietà americane hanno fatto bene perché sono abituato a fare valutazioni di lungo periodo. Il Milan ha scalato di circa 60 posti il ranking UEFA, è tornato a qualificarsi alla Champions League per quattro volte consecutive, ha vinto un campionato, ha sistemato le sue pendenze gravi con la UEFA per il FPF, ha raddoppiato i ricavi. L’ultima stagione è stata un fallimento, sotto tutti i punti di vista, ma questo non significa che tutto faccia schifo. Il Milan rimane un club finanziariamente solido che, ogni anno, spende tutto quello che ricava sul mercato.
L’alternativa a questo modello gestionale non è il ricco scemo che viene ad investire pacchi di soldi senza ritorno. In primis perché non ci sono più i ricchi scemi ed in secondo luogo perché, se anche ci fosse, le norme finanziarie dell’UEFA sul FPF non glielo consentirebbero. L’unica alternativa pertanto sono i debiti, i bond, i prestiti senza sicurezze sul ritorno. A tutto questo dico no grazie, perché il Milan è una cosa seria, ma soprattutto il Milan è una cosa sacra.
Questo è il mio punto di vista. Ho grande rispetto per le altrui posizioni, ma quando sento gente fare battaglie di principio sui singoli giocatori – che ovviamente “amano il Milan” – sulla proprietà che non spende abbastanza e sull’ambizione di avere una proprietà che spende tanti soldi per il Milan, prendo atto che io personalmente ho smesso di credere a Babbo Natale quando avevo 8 anni. In tanti invece, continuano a crederci. Beati loro.
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