GIORNALISMO O TIFO: UN LIMITE SUPERATO DA ANNI

Più analisi e meno slogan, il modello Milan, un fenomeno da studiare: l’appello al giornalismo sportivo

Davide Capano
Davide Capano Redattore 
Quel che accade a livello comunicativo intorno al Milan potrebbe presto finire all'interno di libri e manuali giornalistici da studiare in occasione dell'ottenimento del tesserino, in quanto esempio concreto di ciò che andrebbe contro la deontologia

C’è un fenomeno curioso che si sta diffondendo nel mondo dell’informazione sportiva: redazioni che sembrano più curve che studi giornalistici, dove il microfono è usato come megafono e la critica è trattata come un fallo da espulsione diretta.

Alcuni spazi – molto seguiti, molto rumorosi – hanno scelto una linea editoriale chiara: tutto ciò che mette in discussione il verbo della tribuna viene bollato come lesa maestà. Gli allenatori devono obbedire, i dirigenti giustificarsi, i calciatori inchinarsi. E guai a chi, nel frattempo, prova a fare un’analisi un po’ più complessa di un "forza ragazzi" gridato in caps lock.

Il dibattito, in questi contesti, ha la stessa profondità di una chat post-partita al bar, ma con la presunzione di chi crede di stare riscrivendo le pagine della critica sportiva. E allora via con il melodramma, con il complotto, con le conferenze stampa smontate frase per frase come se fossero dossier della CIA.

Il bello è che tutto questo viene spesso spacciato per “voce del popolo”. Ma il popolo, in genere, ascolta per capire. Da alcune parti invece si urla per non ascoltare.

[an error occurred while processing this directive]

A volte vien da chiedersi se dietro certi microfoni ci sia un giornalista… o semplicemente un ultras con connessione Wi-Fi.

E qui è bene ricordarci una cosa semplice, ma fondamentale: noi facciamo i giornalisti. Non siamo lì per tifare, né per provocare, né per insultare. Siamo lì per raccontare, spiegare, approfondire. E, anche solo per rispetto del mestiere che facciamo, noi – per dire – a lavoro non blateriamo. E se lo facessimo, almeno non lo spacceremmo per approfondimento.

Essere giornalisti sportivi significa analizzare una sconfitta con lucidità, anche quando brucia. Significa dare merito agli avversari, anche quando ci costa. Significa — soprattutto — non alimentare odio, tensioni o rivalità tossiche solo per far crescere clic o ascolti.

Il tifo è una componente umana, inevitabile. Ma il giornalismo è una professione. E la credibilità è l’unica Coppa dei Campioni che dobbiamo e possiamo vincere.