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Da due anni il Milan è diventata una squadra malata, affetta dal morbo della discontinuità.
Da quel Lazio Milan 4-0 del gennaio 2023, all’Olimpico, sono passati infatti 24 mesi. Eppure l’antidoto contro la discontinuità e contro la mancanza di fame e di motivazioni non è stato trovato.
Sono cambiati tre allenatori nel frattempo, da Stefano Pioli a Sergio Conceicao, passando per Paulo Fonseca. Tuttavia il tema della mancanza di continuità è rimasto lì, terribilmente attuale e pesante come una pallina di piombo.
Le grandi partite non sono mancate in questi due anni. Basti pensare alla doppia sfida col Tottenham, a quella con il Napoli, alla vittoria sul PSG, al derby del settembre scorso, alla vittoria di Madrid e alla Supercoppa di 24 giorni fa.
Si tratta del segno evidente del fatto che la rosa ha valori e qualità tecniche indiscutibili.
Eppure – sullo sfondo – ha sempre continuato a rimanere presente, attuale, immancabile, il tallone d’Achille di questo Milan, ossia la sua incapacità di essere sul pezzo in ogni occasione.
Il problema non può essere una brutta sconfitta che, com’è normale nel calcio, a volte può capitare.
Il tema di fondo semmai sono le prestazioni che conducono ad alcune sconfitte che, come ieri sera, assumono contorni sconcertanti ed agghiaccianti.
Non è la prima volta che la squadra appare molle, quasi priva di energia. Tutto ciò la rende incapace di sfruttare al meglio tutte le proprie qualità e le frecce al proprio arco.
Ovvio ed evidente che, se il trend della discontinuità dovesse continuare imperterrito sino alla fine di questa stagione, qualche domanda su alcuni componenti della rosa sarà naturale porsela.
Non finiscono soltanto i cicli degli allenatori nei club, ma anche quelli dei giocatori. Non è un problema di “mele marce”, come impropriamente si fa passare, bensì di pile scariche e di cervelli che hanno staccato.
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