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di Paolo Condò per Il Corriere della Sera -
Fuori dalla cerchia dei manager e degli architetti a loro collegati, nessuno capisce realmente perché San Siro, tuttora uno degli stadi più ammirati al mondo, non possa venire ristrutturato ma debba concludere la sua esistenza sportiva. A essere onesti fino in fondo, i club hanno scoperto che le cosiddette aree corporate, costosissime perché destinate alle aziende, vanno via come il pane. L'indizio rivelatore in questi casi è l'utilizzo della lingua inglese: quando col biglietto viene garantita l'hospitality, se non siete una multinazionale lasciate perdere.
La missione adesso è quella di garantire che anche nel rispetto delle esigenze dei club lo stadio non smetta di essere quel formidabile frullatore sociale che lo rende il più caratterizzato dei non-luoghi. L'architettura ha dotato di personalità gli aeroporti, le stazioni e perfino, a volte, i centri commerciali. Sugli stadi non parte da zero, perché ciò che contiene passioni ispira progetti assai più di ciò che contiene viaggiatori o "clienti".
La portentosa macchina da soldi che uno stadio oggi è più che in passato - molte proprietà americane (e non solo) acquistano i club attratte dall'opportunità di dotarle di un impianto, con tutti gli annessi e connessi - invita a una maggiore vigilanza operativa e, se ci passate il parolone, culturale. Nel senso che i progetti troppo distanti dall'impiego originario implicano qualche domanda in più. La mostra Stadi. Architettura e mito ospitata al Maxxi di Roma fino al 26 ottobre, e curata da Manuel Orazi, Fabio Salomoni e Moira Valeri, fotografa la progressiva affermazione dello stadio come oggetto nobile sul quale lavorare, non confinato a un'architettura di serie B.
Le gradinate della Bombonera, a Buenos Aires, non digradano ma precipitano sul campo, e quando i tifosi del Boca Juniors saltano cantando "burun-bum-bum" la sensazione da tappeto elastico è impressionante. Ai Mondiali del Sudafrica il parcheggio di Soccer City, che oggi si chiama First National Bank Stadium, era talmente lontano che avevi la sensazione di percorrere l'intera Johannesburg prima di arrivare ai cancelli, e non parliamo della città più sicura del mondo. You'll neuer walk alone ascoltata ad Anfield, Liverpool, è un'esperienza mistica. La recente ristrutturazione del Bernabéu, a Madrid, ha risolto il problema, fastidioso più che romantico, del tramonto che nella primavera della Champions ti sparava il sole in faccia sino al fischio d'inizio. Per non dimenticare, allo stadio di Santiago del Cile hanno conservato un settore com'era nel 1973, quando Pinochet vi rinchiuse migliaia di oppositori. A Pripyat, la città ucraina evacuata dopo l'incidente nucleare della vicina Chernobyl, il rettangolo di gioco è diventato un boschetto. A San Cristobal, in Venezuela, per andare allo stadio si sale, si sale e si sale fino ad attraversare a volte le nuvole, e assistere alla partita sospesi su un soffice tappeto bianco. Non è volante, ma magari ricordo male.
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